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Sofia D’Arrigo
Probabilmente questi sono i giorni in cui qualcuno sta decidendo che ne sarà di me. Se potrò ancora concedermi di avere ambizioni lavorative o il desidero di procreare. Probabilmente, mentre sono intenti a proseguire quella fastidiosa e noiosa gara di consenso, prende forma la condanna generazionale.
Si discute di aiuti immediati, che equivale a scendere in campo per pareggiare la partita…forse. Mentre ci scanniamo sui social a suon di “chi sei? Così ti sbatto al muro”, rinunciamo all’unica cosa che ci aveva reso grandi nel tempo, l’umanità. Probabilmente fra vent’anni guardandomi indietro vedrò un po’ di nero ripensando a questo tempo, quando iniziavo a credermi professionista per qualcosa, ma qualcuno stava cancellando le mie opzioni di farcela.
Mica ora. No, già da anni, quando hanno smesso di lavorare al futuro, rinunciando a visioni, progetti, riforme. Quando la politica ha smesso di disegnare l’avvenire, quando i maestri hanno smesso di insegnare, quando i leader hanno perso autorevolezza. E non possiamo essere tutti eccezioni. Non per tutti varrà la parabola digitale, non saremo tutti Chiara Ferragni. Com’era quel detto latino? Faber est… <<Ognuno è artefice del proprio destino>>. Beh, crederlo è un privilegio e presto diventerà una pesante ingenuità.
Non è vero che dipende tutto da noi, non in questa Italia. Non più ormai. Ed è colpa di chi non mi ha mai spiegato perché cazzo dovremmo festeggiare il 25 aprile…l’ho dovuto capire da sola. Perché siamo figli di una generazione dimentica. È colpa di chi ha dormito sugli allori del boom economico. È colpa dell’ego spropositato degli uomini che abbiamo scelto come rappresentanti. Di chi si impasta la bocca di parole rubate ai giovani, sogni e cambiamento. Delle becere discussioni su campanilismi e divisioni, quando nessuno guarda la storia.
Non storicizziamo, mai. Nel passato risiedono le risposte, me l’ha detto Pippo Baudo, mica il gran luminare che leggono pochi. Non me ne vogliano i grandi classici, Dio mi perdoni se non sarò il vaso di argilla nelle mani del vasaio, chiedo scusa a tutti i lieto fine che ho amato nel tempo. Io non voglio resistere. Non voglio condurre un’esistenza basata sul fragile equilibrio della mia stabilità mentale perché mentre sto facendo la mia parte, un manipolo di egoisti sceglie il campo migliore, prende il pallone e se ne va. E per me non c’è posto in squadra. Io vorrei la chance di una vita e basta.
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