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Gli uomini ti uccidono. Cantava così Mia Martini in uno dei suoi brani più famosi. E come una profezia che si auto-avvera, fu proprio così la fine della vita di Mimì.
A 25 anni dalla sua scomparsa, la vita della Martini fa ancora rumore. Un rumore fastidioso che si discosta dalla musica melodiosa e dalla voce da usignolo, pur sempre maledetto.
Si, perché Domenica Bertè fu una donna anticonformista, una hippie del suo tempo, che nei primi anni 70, precisamente nel 1971, confezionò uno degli album fra i più rivoluzionari della musica italiana: “Oltre La Collina”. Il primo disco della cantante, fu un flop per via delle poche vendite. L’album appariva troppo difficile per essere compreso o forse troppo scomodo.
Il panorama della musica italiana era infatti abituato alla popolare canzonetta: non c’era spazio per drammi interiori, sperimentazioni che morivano assieme ai loro creatori. Pochi anni prima, a denunciare la banalizzazione dell’arte musicale, lo scandaloso suicidio di Luigi Tenco a Sanremo, che come egli stesso scrisse fu: – un atto di protesta contro un pubblico che manda “Io tu e le rose” in finale e ad una commissione che seleziona “La rivoluzione”. –
Solitudine, disperazione, conflitti generazionali, domande sull’esistenza di dio, il suicidio, le violenze sessuali, l’amore carnale, le vette quasi panteistiche sono colonne (autobiografiche), sulle quali si regge il tempio “Oltre la collina”. Un album dissacrante e carnale che infiammò la società italiana del tempo.
Quella stessa società, dal desolato paesaggio spirituale ripiegata sul lavoro, che innocentemente credeva nel progresso. La stessa che faceva da sfondo al docufilm “Comizi d’amore” di Pierpaolo Pasolini, in cui la donna occupava un ruolo marginale, di vergine e madre.
E Mia Martini, “Fhimmina” del sud, sapeva bene cosa significasse essere radicata in una terra atavica come la Calabria.
“Ero una bocca in più da sfamare
Non sono cresciuta come speravi
E come avevo il dovere di fare”…
Cantava così la Martini, in “Padre Davvero” a denunciare la sua inadeguatezza, il suo non essere apprezzata da quel padre vittima del suo tempo, il suo stare stretta in quel piccolo paesino del sud, pur sempre amato voracemente.
Dopo quel disco, la vita matura e adulta di Mia scorreva fra successi insuccessi e voci di corridoio, trasformatesi in fanatiche superstizioni, figlie bastarde dell’ignoranza. A credere nella sua originalità e genialità, nomi massicci della musica italiana che collaborarono con l’artista: quello di sua sorella innanzitutto la camaleontica e fragile Loredana Bertè, il suo vecchio amante Ivano Fossati, Renato Zero, Claudio Baglioni, Giorgio Conte (fratello di Paolo) con il quale scrisse una bizzarra canzone in lingua greca dal titolo “Agapimu”(1974) ed altri ancora. Poi, l’alchimia musicale nata con Franco Califano che vide la nascita delle due canzoni italiane più belle di sempre: “Minuetto” (1973), pezzo che da solo vale una carriera, e “La Nevicata del 56” (1990).
E così, superata la vanità del corpo, vive ancora oggi dopo 25 anni la voce inarrivabile di una Dea della musica Italiana.
Maria Cristina Mazzei
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