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La verità su Giulio Regeni vale meno dell’amicizia Italo-Egiziana

4 ' di lettura

Il caso di Giulio Regeni è chiuso, ci sarà un solo processo in Italia

Si è conclusa la fase istruttoria sulla morte di Giulio Regeni. Il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi e Athar Kamel Mohamed Ibrahim e, Magdi Ibrahim Abdelal Sharif sono accusati, dalla procura di Roma, di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in lesioni personali e omicidio. Alla lista si aggiungerebbe un quinto agente, Mahmoud Najem, di cui “i pm capitolini hanno chiesto l’archiviazione”.

Giulio dopo esser stato pedinato e spiato per tre mesi è stato prigioniero per finire poi, torturato ed infine ucciso.

giulio regeni
Dal profilo Twitter di Paola Deffendi, mamma di Giulio

Il procuratore capo Michele Prestipino individua il punto significativo pronunciandosi così:

Noi ci avviamo a chiedere l’esercizio penale nei confronti di alcuni appartenenti ai servizi di sicurezza egiziani. Io non credo avvenga spesso che siano portati in giudizio, di fronte all’autorità giudiziaria di uno Stato, gli appartenenti all’istituzione pubblica di un altro Stato per un fatto commesso nel territorio di questo in danno di un giovane cittadino.

Secondo punto importante è che nell’ultimo incontro con la procura generale del Cairo ci siamo dati reciprocamente atto delle attività che abbiamo svolto. Ho comunicato, al procuratore generale egiziano quelle che sarebbero state le nostre determinazioni alla fine delle indagini. La procura generale, pur non condividendo ovviamente la comunicazione che noi davamo a questo materiale probatori, ha ritenuto di prendere atto della nostra decisione e, come si legge nel comunicato, di rispettarla come valutazione autonoma della procura di Roma. Un passaggio al quale consegue un altro; per l’omicidio di Giulio Regeni si svolgerà un solo processo e si svolgerà in Italia con le garanzie procedurali e secondo la garanzia di procedura dei nostri codici. Questo processo avrà al proprio centro la valutazione dell’impianto probatorio che la procura di Roma ha in questi anni ha raccolto e messo in piedi”.

Da Repubblica

Rispetto per Giulio con un giornalismo investigativo

Sulle carte di avvocati e procuratori non manca l’elenco delle percosse subite. I genitori di Giulio non ne sono sorpresi “Abbiamo sempre saputo che nostro figlio è stato torturato” si esprime così, domenica, Paola a Che Tempo Che Fa. Non è sola, insieme a lei il marito Claudio. Chiedono tramite Fazio, rispetto nei confronti della loro famiglia e di Giulio, ma prima ringraziano i sostenitori ed in particolare Corrado Augias per aver restituito il prestigioso conferimento della Legion D’onore francese poiché la stessa onorificenza è stata consegnata al presidente d’Egitto Al-Sisi.

Da Che Tempo Che Fa Twitter

Sappiamo di essere solo all’inizi di un percorso molto lungo e tortuoso. Chiediamo di evitare, per quanto possibile e seppure con le migliori intenzioni, di causare intralci lungo il cammino con conseguenti danni prevedibili.

Gli intralci si legano al concetto di rispetto. “Abbiamo visto, in questi giorni, un’ondata di scritture sulle violenze subite da Giulio. Chiediamo di non saccheggiare dai documenti pubblici questi discorsi”. Specifica la madre. Non è importante difatti battere su tastiera la sostanza della brutalità. La spettacolarizzazione fa sempre gola ma è il momento della verità. Paola Deffendi fa notare come già il termine tortura sia difficile da accettare come cittadini italiani. “Io ho già spiegato cosa ho visto nel viso di Giulio” continua. “Quindi considerato che Giulio veramente ha subito tutto il male del mondo. questo è un dolore che resterà nostro. Abbiamo bisogno di andare avanti!”

Chiediamo un giornalismo che ci stia vicino, investigativo. Cosa sono le relazioni bilaterali?

Cosa c’è sotto st’amicizia?

Perché amicizia?

Un’amicizia fatta di contratti. Roberto Saviano durante il corso della trasmissione evidenzia come, dal 2016 ad oggi, i rapporti economico- militari sono centuplicati. I 7 milioni di armamenti venduti ad ora sono 800 milioni. Lo scrittore-giornalista parla di ostruzionismo. L’ambasciatore Giampaolo Cantini, di cui i genitori chiedono il richiamo è ancora in Egitto. il Governo e l’Autorità nazionale per le esportazioni di armamenti UAMA avrebbero confermato la consegna all’Egitto delle due fregate destinate originariamente alla Marina Militare dal valore di 1 miliardo e 800 milioni. Illegale. La legge 185 italiana del 1990 prevede il divieto di vendere armi a Paesi che violano i diritti umani.

Poca luce sul caso Regeni

Quella di Giulio Regeni è una storia a quattro tappe segnate dai quasi cinque anni dalla sua morte. Ognuna porta con sé vittorie e/o sconfitte. Grazie ad Amnesty International, impegnata a scovare e difendere la verità, è possibile ricostruire la vicenda caratterizzata da intrighi, misteri e luci ancora troppo offuscate.

La prima. 25 gennaio 2016, un appuntamento mancato.

Regeni, studente di Cambridge impegnato in una tesi di dottorato in sindacalismo indipendente egiziano, avrebbe dovuto trovarsi vicino piazza Thair ” la piazza della libertà”, in prossimità della stazione metropolitana. Allarme.

Il 3 febbraio dello stesso anno viene ritrovato, alla periferia del Cairo il corpo.

Dopo un anno, il 12 giugno 2017, i legali dei Regeni chiedono il fascicolo delle indagini. La famiglia non conosce neanche il numero del documento, qualche mese dopo riescono ad ottenere i video della metropolitana, l’ultimo luogo di cui si hanno tracce di Giulio. Ibrahim Metwaly, il collaboratore del team legale Regeni viene arrestato per ordine dell’ Egypt’s State Security Prosecution (SSP).

Il 2018 è l’anno del rimpatrio forzato verso l’Egitto. Un’impennata segnalata dal Garante per i diritti delle persone detenute o private della libertà personale Mauro Palma.

A settembre 2018 il presidente della camera Roberto Fico incontra il presidente Al-Sisi, si chiede un processo serio e immediato, chiaro è che le torture subite non sono per mano di cittadini comuni, gli strumenti sono troppo sofisticati. L’Italia chiede, in quello stesso anno, agli stati membri di porre fine all’export verso l’Egitto di tecnologie di sorveglianza che possono facilitare gli attacchi informatici contro i difensori dei diritti umani e gli attivisti, anche tramite i social media.

Il 30 aprile 2019 La Camera approva l’istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni. Il mese successivo, il 5 maggio 2019, come riporta ANSA i pm di Roma inviano in Egitto una nuova rogatoria con cui si chiedono notizie relative a una serie di personaggi, tutti appartenenti agli apparati pubblici egiziani, che ruotano intorno ai cinque indagati dalla Procura di Roma.

Soltanto dopo quattro anni vengono trasmessi in Italia alcuni documenti di Regeni, due tessere universitarie e il passaporto. Oggetti sequestrati alla banda di presunti killer, cinque criminali uccisi in Egitto il 24 marzo 2016.

L’Italia comprende che non può sussistere rapporto di collaborazione con i magistrati egiziani, il 30 novembre i pm annunciano l’imminente chiusura delle indagini avvenuta definitivamente il 10 dicembre 2020.
   
 Incidente stradale, relazione omosessuale, spaccio, ucciso da appartenenti a Baltagiya sono queste le motivazioni date in questi cinque anni. Giulio studiava il sindacalismo indipendete in Egitto, nel 2011 scriveva sotto pseudonimio al Manifesto i risultati ottenuti. Lo stesso giornale che chiarisce il movente.

Perché Giulio è stato ucciso?

La sua ricerca secondo la Procura di Roma l’elemento scatenante è il finanziamento della fondazione Antipode. 10.000 sterline per aiutare il sindacalismo. “Credevano stesse organizzando una rivoluzione”.

Giorgia Persico

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