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Addis Abeba, Etiopia. E’ qui che nasce Agitu Ideo Gudeta nel 1978. La città dal significato di “nuovo fiore” si erge su un altopiano ai piedi delle montagne di Entoto. Terra vittima del fenomeno del “land grabbing”, “accaparrare la terra”. Le multinazionali si appropriano di intere distese di terra coltivabile per impiantare nel paese attività intensive e industriali. Le conseguenze? Impoverimento del suolo e gli abitanti delle “terre accaparrate” sono costretti ad abbandonarle, tutto ciò spesso non avviene rispettando i diritti dell’uomo.
Agitu, all’età di 18 anni riceve una borsa di studio. Parte per Trento dove si laureerà in Sociologia. Dentro di sé probabilmente sentiva quella voglia di far cambiare il suo mondo. Ora è più grande, ha studiato ha raggiunto la giusta maturità. Torna a casa e decide di combattere, ma
“Dall’ Etiopia del 2010 sono scappata – ha raccontato per il servizio andato in onda nel programma di RAI 3 Caro Marziano – ho avuto problemi con il governo per il problema del land grabbing. Appezzamenti di terreni grandi venduti o affittati per trenta, quarant’anni a favore delle multinazionali. Qui coltivano per l’esportazione. Questo crea degli effetti negativi sia ambientali che culturali perché l’Etiopia è un paese per indole contadina, la terra diventa identità. Abbiamo iniziato a organizzare manifestazioni pacifiche, ma laddove non c’è democrazia il governo militare risponde a fuoco aperto. I ragazzi vengono uccisi, arrestati o non si sa dove finiscono. Nel 2010 ero in pericolo c’era un mandato di arresto sono scappata e sono arrivata in trentino”. Era il 2017.
L’ azienda agricola bologica di Agitu
Nel 2010 a Valle San Felice, in Val di Gresa, nasce la sua azienda. Si tratta di un progetto di recupero, di valorizzazione sia del territorio che del prodotto. “Faccio formaggi caprini, attualmente ho ottanta capre in lattazione. L’azienda si chiama “La capra felice”, quindi un po’ di positività, un po’ di felicità” – così presenta Agitu la sua impresa durante l’evento “Donne anche noi: storie di fuga e riscatto”, organizzato da Emma Bonino e Radicali Italiani, il 7 marzo 2017.
Agitu fa una ricerca catastale scoprendo che molti terreni, in seguito all’apertura di fabbriche nel fondovalle, erano stati abbandonati. Quei terreni sono di nessuno ma a disposizione della collettività, a governarli è solo una legislazione specifica, un regolamento di utilizzo. Recupera 11 ettari. Ed ecco che si estende l’habitat perfetto per le sue capre, la Pezzata Mochena camosciata delle Alpi, è una razza in via d’estinzione. Non hanno una stalla, vagano mangiando erba incontaminata, ciascuna di loro ha un nome, lo dice, in un’intervista a Marianna Calova per Ambiente Trentino. Il latte prodotto dalle sue amate capre è materia prima per formaggi biologici da pascolo da erba, yoghurt e anche prodotti di cosmesi con latte di capra. Vede “un equilibrio perfetto tra la terra e le capre un dare e ricevere reciproco”.
La donna ha vinto il “Premio della resistenza casearia”, riconoscimento di Slow Food che assegna a pastori e casari artigiani che rifiutano le scorciatoie della modernità e che testardamente continuano a produrre formaggi e alimenti rispettando naturalità, tradizione, gusto. Del 2019 è aggredita da un suo vicino di casa, condannato a 9 mesi. Le accuse di stalking e razzismo sono cadute.
29 dicembre Agitu muore, uccisa da un suo dipendente
Da morta può tornare nella sua terra, il Presidente dell’Associazione Amici dell’Etiopia ha lanciato una raccolta fondi, sostenuta da Europa +, partito di Emma Bonino. L’obiettivo è di arrivare a 80.000 euro ad oggi siamo a 75.853. Soldi utilizzati, o almeno si spera, per alimentare il sogno di Agitu come si legge da gofundme e per sostenere le spese per il rientro in Etiopia.
Il 31 dicembre è stato il giorno del suo compleanno, 43 anni. Molti l’hanno ricordato sui social, un caso che ha fatto notizia. Michele Guerra (Assessore alla Cultura di Parma) l’ha fatto con un post su Facebook, Agitu era tra i suoi amici su Facebook, lo scambio dei contatti era avvenuto nella sperata prospettiva di una successiva conoscenza dal vivo in occasione di Parma Capitale della Cultura. La food valley probabilmente vedeva nella donna un esempio di sostenibilità e autenticità del prodotto. Poteva rappresentare una risorsa.
In questi giorni i media ridondano di retorica e frasi fatte, la donna etiope in Italia come simbolo di integrazione. Rimarcare la sua provenienza geografica non ha senso, è fuori contesto. Fa parte della sua storia e sicuramente ha avuto un significato nella sua impresa ma sottolinearlo così violentemente significa nascondere la sua idea brillante. Agitu è stata un’imprenditrice in gamba, la notizia non è il fatto che fosse etiope anche se, ad oggi, per alcuni può apparire strano vedere un allevatrice donna nera fra le montagne trentine. La notizia è la sua caparbietà, la sua idea di trasformare l’abbandono in positività.
Giorgia Persico
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