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C’erano una volta gli orchi: esseri antropomorfi, più bassi degli uomini, orribilmente deformi, sudici, dalle gambe arcuate. Creature malvagie e miserabili, capaci solo di distruggere. Ad oggi però i nuovi orchi sono altri, sono più difficili da riconoscere, non sono necessariamente brutti. Potrebbe essere tuo fratello, un tuo amico, tuo cugino ma anche il tuo compagno o tuo padre. Sono uomini qualsiasi quelli che accendendo i propri cellulari si trasformano in veri e propri mostri. C’è chi “vende” le proprie fidanzate come carne da macello, chi si offre di spogliare ragazze tramite programmi grafici e chi invece condivide foto e materiale pornografico non consensuale. Di cosa stiamo parlando esattamente?
Il covo dell’end-to-end
Telegram è un servizio di messaggistica istantanea e broadcasting basato su Cloud ed erogato senza fini di lucro. Da subito è stato accolto con grande clamore per chi utilizzava il web per attività illecite. Questo perché a differenza di Whatsapp, con la crittografia end-to-end solo chi partecipa a una chat può conoscerne veramente il contenuto. L’app inoltre possiede dei termini di servizio molto scarni, si punisce lo spam, le truffe e si vietano ovviamente anche i post “pornografici illegali” – ma solo ad una condizione – se i contenuti sono visibili pubblicamente.
Ed è qui che entrano in gioco i mille modi di aggirare Telegram. La maggior parte dei gruppi dell’orrore sono lucchettati, dunque – difficilmente punibili perché i contenuti sono visibili solamente ai membri iscritti. Per entrare in queste cerchie esclusive bisogna ricevere un invito privato tramite un link. Ma anche questo è facilmente aggirabile con un semplice click. Basta creare un gruppo pubblico e inserire all’interno un link che funga da invito per un altro gruppo gemello. La maggior parte di questi gruppi dell’oscenità hanno sempre in panchina un canale di riserva. Gli utenti così, in caso di blocco o eliminazione del gruppo possono confluire velocemente in un nuovo salottino del porno. Se il gruppo viene notato e chiuso, se ne crea uno nuovo, con un nome simile e il gioco ricomincia.
Trovare gli amministratori di questi gruppi? Non è cosa facile. Servono delle denunce e infiltrati nei gruppi, solo così si cerca di risalire all’amministratore e poi all’IP, “l’indirizzo informatico”. Ma anche questo non basta, l’IP individua infatti solamente il dispositivo attraverso il quale la persona opera – non la sua identità diretta. Dal canto suo, Telegram ha un ruolo di controllo relativo: l’app si limita a bloccare i canali solamente in caso di denuncia o quando l’autorità lo impone direttamente.
Le affiliazioni su Telegram
Ma c’é molto di più dietro questi gruppi dell’orrore – un meccanismo semplice, ma funzionale nel mondo del web. Stiamo parlando di affiliazioni, collaborazioni e partnership che tengono insieme gruppi e canali con l’obiettivo di aumentare reciprocamente gli iscritti e gli interessati. Praticamente basta l’iniziativa di un singolo amministratore di un gruppo che dopo un’attenta “caccia” di potenziali collaboratori propone un programma di sponsorship reciproco. I nuovi soci non devono far altro che condividere sul proprio canale o gruppo, dei messaggi pubblicitari o il link in biografia che rimandi al gruppo da sponsorizzare e viceversa. Purtroppo questo genere di accordi non risparmia i gruppi di pornografia, anzi – il più delle volte vengono pubblicizzati gruppi chiusi, senza sapere nemmeno il vero contenuto di quello che si sta realmente condividendo. In pratica, potreste essere iscritti a un gruppo di appassionati di calcio o di cucina e trovarvi una richiesta per un gruppo di pedopornografia. Su Telegram tutto è (tristemente) possibile.
Ventriquattr’ore nell’orrore tra revenge porn e deep nude
Iscriversi su questi gruppi – è purtroppo – un gioco da ragazzi. Dopo una decina di minuti sull’app appena scaricata ecco trovato il primo “covo” della perversione. Molti dei grandi gruppi già noti, come la Bibbia 3.0, non sono più reperibili dopo i vari blitz della polizia che hanno arrestato alcuni dei creatori. Tuttavia, tutti quei membri rimasti senza “fissa dimora” si sono riversati in gruppi più piccoli, discreti e di conseguenza facilmente inosservabili. Questo perché il gioco è sempre lo stesso. Inizialmente i nuovi gruppi dopo la chiusura nascono con nomi diversi, insospettabili – puntando agli utenti più fedeli. Solamente in un secondo momento si tornerà al nome precedente e da poi tutto è in mano al passaparola, che online avviene velocissimamente. Senza dimenticare, che molti gruppi dispongono già di un gruppo di riserva, da utilizzare nel caso di blocchi o chiusure.
Dopo varie ricerche per parole chiave (e diverse “porte” chiuse) risaliamo a un gruppo – il nome, lascia a desiderare ma ci fa capire a cosa andremo incontro: “Le Cagne” – centinaia di foto di ragazze sbattute su una chat senza alcun scrupolo.
C’è chi cerca video porno di adolescenti, chi addirittura esordisce dicendo di voler scambiare la propria moglie e chi non si fa molti problemi e pubblica foto private della propria fidanzata proponendo di scambiare questi contenuti hot con altri ragazzi del gruppo. In poche parole, le donne in queste realtà virtuali diventano merce di scambio, vittime di perversioni e abusi da parte di ignoti.
Molti dei membri inviano foto prese da Instagram di ragazze cercando disperatamente loro nudes o video osé – non si sa mai che qualche ex fidanzato voglia condividerli alle loro spalle. Un fenomeno molto diffuso su questi gruppi è infatti quello del Revenge Porn. Ma tra i risvolti più agghiaccianti e forse tra i più inediti vi è il Deep Nude.
“Faccio Photoshop accurato di amiche o ragazze in generale nude. Quello che mi serve: Foto del volto della amica o ragazza in questione (anche da diverse angolazioni). Sapere la taglia del seno e la grandezza del sedere per poter cercare ragazze di simile corporatura”. Praticamente, posti una foto vestita sul tuo Facebook – ma magari in un giro strano di follie – ti ritrovi svestita in un’altra parte del web.
Le donne dall’altra parte dello schermo
Nel canale dell’orrore tutto può succedere. Lo sa bene Valeria Fonte, dott.ssa in Lettere conosciuta sul web come @valeriafontepoint. Attraverso il suo profilo Instagram svolge un importante attività di sensibilizzazione, proprio in virtù della sua esperienza di rape survivor e vittima di revenge porn. Se non fosse che per i mostri questo non significa nulla – anzi, il suo essere femminista non è altro che un motivo in più per loro di sfogare la loro mascolinità tossica. Uno dei messaggi più forti condivisi arriva da un profilo anonimo che esclama “Raga, organizziamo uno stupro di gruppo su questa femminista di Trapani?”.
Ma Telegram non è solo porno non consensuale – è anche tanto altro. Tra cui momenti di crudele body shaming, dove gruppi di uomini si ritrovano in chat per insultare senza pochi filtri i corpi di alcune ragazze trovate sui social. Vittima di questo malato “divertimento” è stata Giulia Sarno che diffonde sui suoi canali social messaggi di body positive e inclusione.
Tutti parlano di Telegram – questo non sarà il primo articolo che racconta questa realtà perversa -eppure, tutto attorno tace. Molto spesso chi si rivolge ai media o alle autorità per denunciare si ritrova ad affrontare giudizi, poca capacità nel comunicare questi fenomeni e superficialità nel comprendere la gravità di questi gesti. Molto spesso si liquidano queste violenze come “bravate” o il più delle volte si incolpano le donne ritratte per avere scattato foto non completamente vestite.
G.V è stata vittima anche lei di uno di questi gruppi, dove a sua insaputa sono state pubblicate sue foto che avrebbero dovuto avere carattere privato. Uno dei suoi più grandi scogli da affrontare è stato proprio trovare qualcuno che l’aiutasse a denunciare questo circolo di violenze. Purtroppo non ha mai trovato la giusta comprensione – ma sempre un pizzico di maschilismo anche in chi dovrebbe averla dovuta aiutare.
“Quando i giornalisti hanno saputo quello che era successo – a me e ad altre ragazze – ci hanno subito contattato. Pensavo che parlare alla stampa sarebbe stato un metodo opportuno per denunciare quello che succedeva in quei gruppi, se non fosse che mi sono sentita giudicata da chi avrebbe dovuto aiutarci. Il discorso portava sempre al solito punto, che in fin dei conti anche noi avevamo sbagliato a scattare certe foto. Allora abbiamo preferito tacere”.
Un po’ te la cerchi, sempre.
Francesca Confalonieri
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