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Martedì di profilo. Adriano Olivetti: umanizzatore del lavoro

5 ' di lettura

Intellettuale, imprenditore, antifascista, politico: queste le caratteristiche della figura poliedrica che è stato Adriano Olivetti. Nato nel 1901 a Ivrea, dopo una breve esperienza al fronte, durante la prima guerra mondiale, nel 1919 si iscrive a ingegneria chimica industriale al Politecnico di Torino. Il periodo universitario è fondamentale perché gli dà modo di dedicarsi all’attività politica e al giornalismo. Siamo nell’Italia del primo dopoguerra e Torino è travolta dalle rivendicazioni del movimento operaio. In questo periodo conosce Gobetti, Gino Levi, e le rispettive sorelle Natalia e Paola, con cui si sposerà nel 1924. Nello stesso anno comincia l’apprendistato in fabbrica, in veste di operaio.

La rivoluzione olivettiana

È il 1925 quando parte per un viaggio studio negli Stati Uniti: è l’occasione per visitare molte aziende, analizzarne i metodi di produzione e l’organizzazione del lavoro. Rientrato in Italia, propone al padre Camillo un programma per modernizzare l’attività.

Adriano Olivetti

Ha inizio la trasformazione dell’azienda di famiglia, senza “avanzamenti troppo rapidi” definiti pericolosi. Ridisegna la fisionomia della fabbrica, che fino a quel momento era stata semi-artigianale, e introduce l’organizzazione scientifica taylorista. Inoltre, con l’obiettivo di ridurre il potere della vecchia guardia, affianca ai capi officina del personale nuovo e laureato, ma senza una sostituzione completa. La “Rivoluzione olivettiana” prevede anche l’abolizione del sistema salariale a cottimo, sostituito da un sistema misto: calcolato su un tempo standard uguale per tutti, a cui si aggiungevano degli incentivi. Grazie a queste innovazioni organizzative la Olivetti tra il 1924 e il 1929 raddoppiò la produttività.

La fabbrica sociale

Durante gli anni ’30 la fabbrica vede un incremento delle vendite, oltre allo sviluppo economico in questi anni si vede anche uno sviluppo sociale e culturale. Infatti, ogni anno Adriano investe importanti somme di denaro per migliorare i servizi sociali e culturali per i dipendenti: ad esempio asili aziendali, servizi mensa, servizi sanitari, servizi assistenziali, copertura della maternità, colonie per i figli dipendenti. Ogni servizio è curato da professionisti di diverse discipline e da viaggi all’estero che compie in prima persona per apprendere le best practices.

La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia. Io penso la fabbrica per l’uomonon l’uomo per la fabbrica

Dal 1948 i servizi sociali e culturali vengono gestiti autonomamente dai dipendenti, che disponevano di poteri consultivi sulle materie aziendali e di poteri decisionali vincolanti in materia di gestione dei servizi sociali, in particolare riguardo la ripartizione delle somme destinate a varie forme dei servizi erogati. Spesso questi servizi sono a disposizione non solo dei lavoratori e delle famiglie a loro legate, ma anche agli abitanti del Canavese – regione storico-geografica del Piemonte estesa tra la Serra di Ivrea, il Po, la Stura di Lanzo e le Alpi Graie, ossia il territorio compreso tra Torino e la Valle d’Aosta e, verso est, il Biellese e il Vercellese- dove Olivetti finanzia la nascita di fabbriche, cooperative, imprese a finalità sociale. Realtà che danno avvio a reti di imprenditorialità diffusa.

Innovazione e crescita socio-culturale

Tra il 1956 e il 1957 Olivetti riduce l’orario di lavoro: si passa prima a 45 ore settimanali, poi a 5 giorni a settimana. Inoltre non ha mai licenziato. Tranne qualche dirigente commerciale durante la crisi di vendita del 1953. Inoltre elimina il sistema Bédaux, che prevedeva la misurazione dei tempi di lavoro e che poneva gli operai in competizione tra loro. Ciò che preme sottolineare è l’attenzione a iniziative culturali sul territorio: dibattiti tenuti da diversi esponenti politici; la costruzione di biblioteche – oltre a quella di fabbrica; investe ingenti capitali per la formazione a tutti i livelli. Diviene famoso il CFM: Centro Formazione Meccanici, fondato nel 1935, è un luogo di acquisizione a tutto tondo: gli operai infatti apprendevano le materie tecniche, i fondamenti dell’economia e della sociologia. Gli insegnanti spesso erano intellettuali di sinistra o sindacalisti invitati a insegnare la storia del movimento operaio e la critica dell’economia politica. Di conseguenza l’obiettivo non era solo la formazione tecnica e settoriale, ma anche quella della coscienza di classe.

Infine, è importante sottolineare il progetto che l’imprenditore sociale aveva ideato poco prima della morte improvvisa: dotare i lavoratori delle risorse simboliche e materiali al fine di diventare co-investitori. Passando quindi da partecipe a gestore dell’impresa stessa. L’intuizione non diventerà mai del tutto realtà. Possiamo dire dunque che gli investimenti di Olivetti offrono ai dipendenti risorse materiali e simboliche per l’auto-emancipazione, che poteva avvenire solo attraverso l’iniziativa consapevole della classe operaia.

Adriano Olivetti
Adriano Olivetti che dialoga con i suoi dipendenti

Olivetti ritratto dalla Ginzburg

Olivetti compare in Lessico Famigliare di Natalia Ginzburg, opera pubblicata nel 1963. E’ un libro di memorie, ma è anche la storia della famiglia Levi narrata attraverso il punto di vista di Natalia Ginzburg bambina. L’opera è intrisa di persone realmente esistite, tra cui Adriano Olivetti, molto vicino alla famiglia Levi.

Quest’ultima, in nome dell’antifascismo, rischia la tortura, la reclusione e la morte: collabora alla fuga di Turati e accoglie Adriano in casa propria mentre è ricercato. Olivetti intrattiene un rapporto di profonda amicizia con i Levi: sono politicamente attivi, si oppongono al regime e sono disposti a rischiare tutto in nome dell’eroismo antifascista. Man mano che la Storia avanza il fascismo sembra non finire mai: gli amici antifascisti sono sempre meno e sempre più tristi. Inoltre, erano stati uccisi i fratelli Rosselli, con l’inizio della campagna razziale in Italia a Leone Ginzburg viene revocata la cittadinanza italiana ed egli diventa un apolide. Non c’è più nessuno spiraglio di speranza. Adriano Olivetti per rasserenare gli animi suole pronosticare per i componenti della famiglia un futuro roseo: dice di sapere da un informatore che il fascismo ha vita breve.

Frequentando casa Levi, Adriano corteggia Paola, la sorella di Natalia. Quest’ultima è la piccola di casa, in Lessico Famigliare attraverso il suo punto di vista, la prima volta che ritrae Olivetti, lui è vestito da soldato, poiché sta facendo il servizio militare assieme a Gino, uno dei fratelli Levi, ha la barba ricciuta e folta, di un colore fulvo; i capelli biondi-fulvi ed era grasso e pallido. Viene descritto timido e silenzioso. Aveva “piccoli occhi celesti, che erano insieme freddi e sognanti”. Quando Adriano aiuta Turati, rifugiato per dieci giorni in casa Levi, ha invece gli occhi spaventati, risoluti e allegri: “erano gli occhi che aveva quando aiutava una persona a scappare, quando c’era un pericolo e qualcuno da portare in salvo”. Occhi che Natalia vedrà di nuovo da adulta: quando dopo il confino in Abruzzo torna a Roma con i bambini per raggiungere il marito Leone. Una sera però, quest’ultimo non tornerà a casa. E’ proprio Adriano a dare la notizia dell’arresto di Leone a Natalia e a trarre in salvo lei e i bambini:

Passò quel giorno, e la notte; e la mattina dopo venne da me Adriano, e mi disse di lasciar subito quell’alloggio, perché Leone infatti era stato arrestato, e là poteva venire da un momento all’altro, la polizia. […] Io ricorderò sempre, tutta la vita, il grande conforto che sentii nel vedermi davanti, quel mattino, la sua figura che mi era così famigliare […] E ricorderò sempre la sua schiena china a raccogliere, per le stanze, i nostri indumenti sparsi, le scarpe dei bambini, con gesti di bontà umile, pietosa e paziente. E aveva quando scapammo da quella casa, il viso di quella volta che era venuto da noi a pendere Turati, il viso trafelato, spaventato e felice di quando portava in salvo qualcuno.

Lessico Famigliare, Natalia Ginzburg

L’eroe

Ecco l’eroismo di Adriano Olivetti: rischia tutto per salvare un altro essere umano. Sia quando salva Turati che quando va a prendere Natalia e i bambini, si batte per proteggere le minoranze etniche dalle aggressioni razziste e fasciste.

Adriano era ormai un grande e famoso industriale. Conservava tuttavia ancora, nell’aspetto, qualcosa di randagio, come da ragazzo quando faceva il soldato; e si muoveva sempre con il suo passo strascicato e solitario d’un vagabondo […] Lo incontrai a Roma per la strada […] Era a piedi; andava solo, col suo passo randagio; gli occhi perduti nei suoi sogni perenni, che li velavano di nebbie azzurre. Era vestito come tutti gli altri, ma sembrava, nella folla, un mendicante; e sembrava, nel tempo stesso, anche un re. Un re in esilio, sembrava.

Lessico Famigliare, Natalia Ginzburg

Oggi abbiamo ancora molto da imparare dal Re in esilio che ha fatto dell’ideale antifascista e dell’azione sociale il suo archetipo: da direttore e imprenditore ha apportato riforme assolutamente visionarie per l’epoca; da amico e compagno di lotta ha dimostrato di essere pronto a rischiare tutto per difendere l’umanità, dote rara nel secolo dei totalitarismi.


Erica Marconato

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