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Al grido di «Esistiamo anche noi», nel pomeriggio del 26 aprile gli studenti del DUSIC (Dipartimento di Discipline Umanistiche, Sociali e delle Imprese Culturali dell’Università di Parma) si sono riuniti per chiedere anche il loro ritorno alla didattica in presenza. Il presidio è stato organizzato dall’associazione UDU (Unione degli Universitari) di Parma e si è svolto nel chiostro del plesso di via D’Azeglio, principale sede del dipartimento.
Le ragioni della protesta
«Siamo qui per denunciare le ingiustizie che ha subito il DUSIC, – ha spiegato il coordinatore dell’UDU di Parma Roberto Panzera – l’unico dipartimento, salvo rare eccezioni (Giornalismo e Scienze dell’educazione e dei processi formativi), a non essere rientrato per nulla in presenza». Sì, perché mentre il 19 aprile molti studenti dell’ateneo parmense sono potuti tornare, con tutti gli accorgimenti del caso, fra i banchi dell’università, i ragazzi del DUSIC si vedono invece costretti a terminare il semestre dietro al solito schermo che fissano da oltre un anno. «Perché proprio noi? – chiede a gran voce Giada Valentina Annunziata, studentessa del primo anno di Lettere classiche – Perché proprio noi, che apparteniamo anche a un dipartimento che porta il concetto di «società» nella sua denominazione, siamo stati discriminati e dimenticati?».
La risposta dell’ateneo
Come il direttore del dipartimento Diego Saglia ha ribadito in una comunicazione agli studenti del DUSIC (datata 28 aprile), il perché di questa situazione sta tutto nella tempistica: se l’Emilia-Romagna fosse passata in fascia gialla già a inizio aprile si sarebbe potuto iniziare a lavorare per il rientro in aula di tutte le facoltà, ma così non è stato. Di conseguenza, considerando anche il termine delle lezioni dei corsi umanistici previsto per il 14 maggio, organizzare il ritorno in presenza di tutti gli studenti non è sembrata «una via utilmente percorribile». Il risultato è che ad essere passati in modalità mista (in presenza/DAD) sono stati solo quegli insegnamenti già individuati in base alla delibera del Senato Accademico dello scorso gennaio. Sul perché fra questi, «scelti in base a una serie di fattori, tra cui soprattutto quelli della sicurezza», non rientri quasi nessuno di quelli erogati dal DUSIC rimangono ancora molte perplessità.
DAD: Didattica A Distanza o Diritti alla Deriva?
Motore pulsante della protesta sono state le difficoltà e i disagi che la DAD porta con sé. Sono problemi con cui tutti ormai abbiamo familiarità: connessioni precarie, dispositivi da condividere con familiari a loro volta in DAD o smart working, deficit di attenzione e abbandono scolastico, per citare solo i più comuni. Allo scoppio della pandemia gli universitari hanno mostrato grande senso di responsabilità accogliendo, nel silenzio dei più (Governo compreso), la DAD come strumento necessario al proseguimento dei loro studi. Ma il troppo stroppia anche in università e, come sostiene l’UDU di Parma, insistere con la DAD rischia davvero di portare Diritti Alla Deriva migliaia di studenti.
«A distanza di un anno dall’inizio dell’emergenza è inaccettabile trovarsi ancora nella stessa situazione» tuona Antonio Lucacento, rappresentante di studi filosofici. E come dargli torto? Le riaperture erano state preannunciate da tempo: il dipartimento avrebbe dovuto predisporre un piano di ripartenza per essere pronto ad attuarlo nel momento in cui le condizioni sanitarie lo avrebbero permesso. Inoltre, come sottolineato da Andrea Corso, studentessa magistrale in Giornalismo, il rientro in aula delle matricole DUSIC nel primo semestre «ha dimostrato che gli spazi sono perfettamente adeguati a garantire un ritorno, anche solo parziale, alla didattica in presenza». La domanda allora sorge spontanea: come si spiega questa situazione? E volendo toccare un altro tasto dolente: perché a fronte di una didattica per quasi tutti esclusivamente online l’ammontare delle rette universitarie è rimasto lo stesso del periodo pre-COVID? Molti studenti stanno di fatto pagando per servizi a cui non possono accedere.
In difesa dell’Unipr
È pur vero che durante la pandemia l’Università di Parma, anche grazie agli aiuti della Provincia e della Regione, ha investito molte risorse ed energia per cercare di venire in contro alle esigenze degli studenti, inclusi quelli del DUSIC. Nel corso dei mesi, infatti, sono stati messi a disposizione alcuni computer in comodato d’uso, è stato posticipato (ma non ridotto) il pagamento delle tasse, sono stati stanziati fondi per sostenere l’affitto degli alloggi dei fuori sede e il servizio di counseling psicologico è stato garantito anche in modalità online. Si tratta di misure sicuramente utili, ma che purtroppo non sempre sono bastate o hanno funzionato a dovere (come nel caso del counseling psicologico, risultato spesso irraggiungibile). Pur comprendendo ogni difficoltà, va preso atto che gli sforzi dell’Unipr hanno fatto molto, ma non abbastanza.
DUSIC: emblema di una disparità inaccettabile
Al di là delle problematiche legate alla DAD, il presidio ha più volte evidenziato come il diverso trattamento nello svolgimento della didattica sia soltanto l’ultima delle ingiustizie subite dagli studenti del DUSIC. In molti hanno infatti denunciato una distinzione de facto tra dipartimenti di serie A e di serie B, presente ben prima dello scoppio della pandemia. I primi dispongono di strutture nuove di zecca, ravvicinate e ben attrezzate, mentre i secondi sono costretti a lavorare in edifici vecchi, spesso dislocati in diverse parti della città e con strumenti inadeguati. Una disparità che si è poi ripresentata al momento della ripresa delle lezioni in presenza, con i primi rientrati in aula o passati all’Outdoor teaching – citato come esempio di innovazione e ripartenza persino dal Sole 24 ore – e i secondi rimasti in DAD. Considerando la scarsa importanza che in Italia si attribuisce alle materie umanistiche – come del resto alla cultura in generale -, è facile intuire a quale categoria appartenga il DUSIC.
È soprattutto per questo che l’UDU di Parma ha organizzato il presidio di lunedì. Come ha spiegato il solito Roberto Panzera: «Siamo qui perché siamo stanchi di essere invisibili agli occhi dell’università e della città intera. Siamo stanchi che la cultura venga continuamente fermata e che quello che facciamo non sia visto col dovuto rispetto. Esistiamo anche noi!». Quello che chiedono gli studenti è dunque parità di trattamento perché, se è vero che per un rientro di tutti in presenza è ormai tardi, non esistono scadenze per porre fine alle diseguaglianze.
Giulia Battista
La risposta dell’Università che è stata data mi sembra esaustiva.
Detto ciò da uno che fa questo corso vorrei capire l’utilità della frequenza in aula. La frequenza è indispensabile per uno che fa medicina, veterinaria, chimica, biologia, farmaceutica, ma uno che fa giornalismo perchè deve andare all’Università seduto sulla sedia? In questo momento particolare con il covid non c’è la necessità.
Pagate le tasse? certo, e sono quelle che permettono di pagare i professori, vi permettono di fare gli esami, permettono all’università di dotarsi delle strumentazioni digitali per fare lezione.
Non c’è nessun motivo per cui voi dobbiate tornare in aula. E’ una polemica fine a se stessa. Adesso penseremo mica che uno che fa un corso in scienze umanistiche abbia la necessità di stare ad ascoltare un professore dal vivo. Fate le lezioni on line e il problema è risolto.
Io ho fatto una facoltà scientifica (roba seria quindi) all’Unipr, mai frequentato un corso, e sono uscito con 110. Per cui…
Sarei curioso di sapere il parere da parte di chi si mette contare le auto dell’autostrada di chi va a Sarzana se è più pericoloso mangiare una focaccia in spiaggia all’aria aperta con la famiglia o chi va in un aula chiusa dell’Università per fare le stesse cose che si possono fare da casa come smartworking o dad?