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Pochi artisti come Sergio Cammariere hanno saputo, nel corso degli anni coniugare continuamente musica e poesia, classe e capacità di rimanere nell’ombra.
Il pianista crotonese, cugino di Rino Gaetano, già dall’inizio degli anni ‘90 appare sulle scene, si occupa di diverse colonne sonore per film prestando il suo piano a diverse interpretazioni che gli valgono, nel 1997, un Premio Tenco proprio come “Miglior interprete” con la giuria che si espresse con voto unanime.
All’inizio degli anni Duemila, conosce Roberto Kunstler, raffinato autore e paroliere, del quale musica i testi che confluiranno in “Dalla pace del mare lontano”, primo album di Cammariere che uscirà nel 2002 ma sarà rieditato nel 2003 dopo la fortunata partecipazione a Sanremo. In quell’occasione, con “Tutto quello che un uomo”, Sergio si classifica al terzo posto e vince il premio della critica. “Tutto quello che un uomo” è una ballata concepita per entrare nel cuore già dal primo ascolto. Il testo raffinato ben si sposa con l’interpretazione accorata di Cammariere, che sciorina il testo con un filo di voce su un tappeto armonico di piano monumentale, in tonalità di do diesis minore che già di per sé ispira alla malinconia.
La prima edizione del disco, invece, usciva accompagnata da un singolo, che è ancora oggi tra le canzoni più note di Cammariere: “Sorella mia”. Il brano mette da subito in chiaro le cose, e bastano le prime note a spiegare la direzione jazz dell’album. Anche questo è un brano in cui il piano la fa da padrone, ed è una canzone d’amore concettualmente differente da “Tutto quello che un uomo” ma non per questo meno viscerale; ragion per cui ritengo che i versi d’apertura “Tu sola sei l’amore, tu sola sei davvero/Prima di te lo giuro non era stato mai” se li pensiamo dedicati a una sorella, o da una sorella ad un fratello si rivestono di una bellezza e delicatezza che nessun brano sentimentale potrà mai descrivere con tanta accortezza.
Andando avanti nel disco, si trova “Dalla pace del mare lontano”, brano che dà il nome al disco. Neanche a dirlo, l’ossatura del pezzo è composta dal piano ma stavolta anche da un contrabbasso che gioca sulle quinte e conferisce al brano un incedere galoppante su cui è spalmato un testo quasi metafisico. Si racconta infatti, di un uomo che “diventa” la sua musica, entrando a gamba tesa nel mondo delle sensazioni indefinite. Diventare musica infatti, contemporaneamente comprende ed esclude le capacità di interpretare, scrivere o eseguire la musica. Chi esiste in quello che fa, smette di essere un uomo e diventa un esteta. Una visione quasi dannunziana di una tendenza alla perfezione che è in grado di abbacinare persino l’ascoltatore e che ben descrive l’approccio cammarieresco alla musica e alla vita.
Prima di concludere, va fatto un accenno alla band che con Cammariere registra l’album. Si tratta di una “famiglia” di musicisti con i quali il pianista crotonese collabora da sempre, e che nel tempo sono emersi come elementi singoli. Si va da Olen Cesari al violino a nomi ben più celebri come quello di Fabrizio Bosso alla tromba e Alex Britti alle chitarre.
Poche volte un album di debutto risulta essere così completo, “fulminante” e ben scritto. Fortunatamente questo è il caso di “Dalla pace del mare lontano”, album che ottenne anche un buon successo di pubblico, trainato dall’esperienza televisiva, che ha imposto il nome di Cammariere al grande pubblico, e con esso anche il piacere di ascoltare della musica jazz d’autore.
Mario Mucedola
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