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Il relitto del Titanic scomparirà. Dopo oltre cent’anni, un po’ per la ruggine e un po’ per il movimento del fondale che si sposta, l’enorme piroscafo sta lentamente sparendo dal fondale dell’oceano. Da quando l’abbiamo trovato, quasi quarant’anni fa, scienziati, scrittori, gente comune e appassionati l’hanno studiato, ammirato, guardato con un misto di fascinazione e paura, perché il suo naufragio è stato uno degli eventi più eclatanti del XX secolo.
Alcune curiosità sul Titanic
L’RMS Titanic – cioè Royal Mail Ship – avrebbe dovuto garantire contatti settimanali fra l’Europa e gli Stati Uniti, trasportando posta e passeggeri. Con 268,83 metri di lunghezza, quasi 53 metri di altezza e un peso lordo di 46.328 tonnellate, il transatlantico poteva navigare a una velocità massima di 24 nodi, spostando quasi 50mila tonnellate di acqua grazie alla potenza di 16mila cavalli – che, citando De Gregori, “al posto degli zoccoli hanno le ali”. Per l’epoca – fra caldaie, compartimenti stagni, numero di passeggeri e tutto il resto – era una specie di miracolo ingegneristico galleggiante.
La nave era un piroscafo, cioè un battello a vapore, e la pressione esercitata sui cilindri muoveva enormi eliche esterne; le 29 caldaie da 5 metri ciascuna potevano bruciare fino a 278 tonnellate di carbone al giorno. Gli interni della prima classe furono ispirati dal Ritz di Londra, perché i passeggeri più abbienti non dovevano avere l’impressione di muoversi su una nave.
Le due royal suite – la B54 e la B56 – erano arredate in stile Luigi XVI, e comprendevano un soggiorno, tre camere da letto – di cui una matrimoniale –, due bagni, un guardaroba e un ponte privato per passeggiare in tranquillità. Le cabine di seconda classe, pur essendo più comode rispetto a quelle delle altre navi dell’epoca, non erano altro che cuccette con due o quattro letti e stufe che non andavano. La terza classe, rispetto al bagno turco arabeggiante della prima, sembrava una stalla.
Una suite di prima classe costava 3.100 $, cioè circa 40.000 $ oggi; una cabina normale nella stessa classe, invece, si aggirava sugli odierni 2.300 $. Un biglietto di terza classe, infine, costava dalle 6 alle 8 sterline, cioè circa 600 sterline odierne.
Il naufragio
La notte del 14 aprile 1912, intorno alle 23:00, i pianeti si allinearono nel modo peggiore possibile. Non c’era la luna – il che, in mezzo al mare, significa galleggiare nel nero più totale – e si era alzata anche una nebbiolina fastidiosa; inoltre, l’oceano era particolarmente calmo, impedendo alle onde di infrangersi contro gli iceberg e avvertire così i marinai. I due uomini di vedetta, infine, non avevano i binocoli – erano chiusi in un armadio di cui nessuno aveva la chiave –, quindi l’iceberg fu visto quando mancavano solo 500 metri all’impatto – troppo pochi perché un bastimento così grande potesse virare in tempo.
Il capitano Smith capì subito che l’unica soluzione era abbandonare la nave, anche se tentennò fino all’ultimo prima di dare l’ordine. Nessuno capì mai il temporeggiamento al limite dell’incoscienza con cui sembrò non voler ammettere la realtà, ma forse il fatto che quello sarebbe stato il suo ultimo viaggio prima della pensione contribuì. In ogni modo, di lui si persero le tracce ancor prima dell’affondamento, e il suo corpo non fu mai ritrovato.
Una storia ironica circa il naufragio fu quella del progettista del Titanic, Thomas Andrews – che tra l’altro fu il primo passeggero a salire a bordo, occupando la cabina A36 del ponte A. Il povero Thomas passò il viaggio a prendere appunti sulle migliorie da apportare per le crociere successive, come un cambio di tinta nell’intonaco e la necessità di ridipingere in verde alcuni mobili di vimini. L’ultima volta che qualcuno lo vide, mentre la nave affondava, stava ammirando con sguardo perso il quadro Il porto di Plymouth, nella sala fumatori della prima classe.
Le inchieste e il relitto
Due inchieste – una americana e una inglese – portarono ad alcune conclusioni ormai note: scarsi preparativi per le emergenze, equipaggio poco addestrato, sottovalutazione da parte del capitano Smith dei messaggi sulla presenza di iceberg che aveva ricevuto durante il fine settimana, poche scialuppe per tutti e richieste di aiuto trascurate. Fino al 1985, però, nessuno poté davvero sapere cos’era accaduto.
In quell’anno, il ricercatore Robert Ballard e la sua squadra trovarono il relitto affondato, e scoprirono che la nave si era spezzata in due tronconi – quello di poppa era finito addirittura a 600 metri di distanza da quello di prua, rivolto nella direzione opposta. Le testimonianze dell’epoca erano state discordanti, così le inchieste avevano concluso che la nave si fosse inabissata intatta.
Cosa significa il Titanic
Raccontare un’esaustiva storia del Titanic in breve è praticamente impossibile. Il motivo è semplice, e l’ha spiegato bene Francesco De Gregori nel suo album “Titanic” del 1982. Ne “I muscoli del capitano”, in particolare, De Gregori chiarisce con un elenco ciò che il Titanic ha significato a livello storico: “La nave è fulmine, torpedine, miccia, scintillante bellezza, fosforo e fantasia, molecole d’acciaio, pistone, rabbia, guerra lampo e poesia. In questa notte elettrica e veloce, in questa croce di Novecento, il futuro è una palla di cannone accesa e noi la stiamo quasi raggiungendo”.
Il Titanic salpò all’alba di un nuovo secolo, era la nave più grande e inaffondabile mai concepita e avrebbe collegato il mondo come mai prima di allora, rendendolo sempre più piccolo e veloce. La Belle Époque aveva portato fiducia nel futuro e prosperità – torpedine, fosforo, fantasia –, e tutto sembrava andare per il meglio. Il naufragio del Titanic, però, divenne quasi un funesto presagio di ciò che il “secolo breve” avrebbe portato – molecole d’acciaio, rabbia, guerra lampo –, e fu forse la prima vera tragedia globale di cui tutti appreso notizia quasi subito.
Un evento così tragico e profetico non poteva che diventare oggetto di studio, morbosità, fascinazione. Ecco perché riassumerne la storia è impossibile – non quando si conoscono i nomi e le vite di quasi tutti i passeggeri, le cabine che occupavano, il cibo che mangiarono la sera del naufragio –, ma quantomeno è necessario ricordarla.
Alessandro Mambelli
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