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Sebbene la questione della crisi climatica abbia acquisito importanza negli anni recenti, ancora molti faticano a comprendere la complessità di questo fenomeno e le ampie conseguenze implicate e che affliggono ormai quasi ogni settore della società. Alcuni effetti rimangono incompresi poiché non semplici da rappresentare. I videogiochi sono stati identificati come media adatto attraverso il quale rappresentare questa complessità, grazie alla possibilità di simulare scenari e mostrare eventuali percorsi alternativi.
Il contesto politico-ecologico
Oggi ci troviamo in una ‘ post-democrazia’: certe questioni non vengono più messe a dibattito e diventano opzioni quasi impensabili in un sistema in cui la politica tratta la gestione della salute dei mercati. La questione ambientale in generale è stata e continua ad essere uno degli indicatori attraverso i quali si concretizza la post-politicizzazione. Questa cornice post- politica si è generata attorno all’inevitabilità del capitalismo e di un’economia di mercato come base della struttura organizzativa dell’ordine sociale ed economico. Occorre riportare al centro il politico inteso come conflitto. C’è una grande mobilitazione intorno al clima, ma è una mobilitazione senza questioni politiche; il consenso intorno alla politica climatica è più una manifestazione di egemonia da parte degli attori che hanno creato questo campo post-politico, marginalizzando le prospettive radicali e ponendo sul tavolo della governance del clima solo certe soluzioni, rendendo invisibili le prospettive di coloro che non hanno potere ma che soffrono gli effetti del sistema economico. Questa situazione richiede dunque una riconsiderazione di cosa sia il politico, dove si colloca e come una politica democratica può essere riconquistata.
La teoria della decrescita, “the business of business is business”
Il rapporto tra crescita economica e benessere è oggetto di un acceso dibattito, dovuto all’attuale crisi economica e a una necessaria ri-politicizzazione della crisi ecologica, con un focus sul cambiamento climatico. Quest’ultimo ha molto a che fare con il fatto che le politiche ambientali internazionali abbiano ampiamente fallito e la distruzione ambientale sta in molte aree accelerando. Il comune denominatore è una critica all’orientamento classico verso la crescita annuale della produzione e del consumo, considerato non più adeguato. Infatti, molte riflessioni verso la giustizia climatica sono affini a una prospettiva di decrescita. Recentemente è emerso un consenso diffuso sullo stato di natura e le precarie condizioni ambientali che possono portare alla fine prematura della civiltà come la conosciamo (IPCC, 2007).
Il futuro del nostro mondo comune umano e non umano richiede cambiamenti radicali in molti campi, dal modo in cui produciamo e organizziamo la trasformazione, alle culture di consumo.
Le tattiche populiste invocano una condizione comune difficile che necessita di un’azione comune a tutta l’umanità, di collaborazione e cooperazione reciproche; il popolo infatti è chiamato come soggetto politico, eliminando così l’ eterogeneità e antagonismi. Il populismo post- politico è associato a una politica di non nominare: si impiegano significanti vuoti come “politica sul cambiamento climatico” o “ politica sostenibile”.
Al contrario, la lotta di classe nel diciannovesimo e ventesimo secolo riguardava il nome del proletariato; così come la politica femminista ha preso il nome attraverso la narrazione, l’attivismo e la simbolizzazione della “donna” come categoria politica.
Una sorta di ‘correzione’ è sempre più attuata come rimedio per salvare sia il clima che il capitale: difficilmente si muove in funzione di una società migliore ed ecologicamente sana. A tal proposito, il concetto di disaccoppiamento è il pilastro su cui si basa il mito della crescita verde: la possibilità di disaccoppiare la crescita economica dagli impatti ambientali che questa provoca.
Si pensa dunque che ci sia una sorta di potere magico nel progresso che porta a una riduzione dell’impatto ambientale, pur restando in una logica di crescita economica. La crescita verde si realizza con un disaccoppiamento globale, assoluto e permanente, della crescita economica da tutti gli impatti negativi sull’ambiente cioè consumi energetici, emissioni, inquinamento di acque, aria, estrazione di materia. La green economy è in definitiva un tentativo ambizioso dal punto di vista capitalistico che vede la crisi ecologica non come ostacolo ma come opportunità di business e driver alla valorizzazione.
Lotta climatica e lotta di classe
La protezione ambientale è vista come puro costo per le aziende e per i governi. In Italia la questione ecologica si politicizza in gran parte grazie all’alta conflittualità operaia; la questione riguarda la possibilità di raggiungere un modello sociale basato su crescita economica, riduzione disuguaglianze e protezione ambientale. Abbiamo assistito a un emergere della coscienza ecologica ed ecologista: a partire dallo shock petrolifero del 1973 seguono eventi che svelano la relazione diretta tra i limiti bio- fisici del pianeta e la crescita economica propria del sistema economico capitalista. Da questo punto di vista sono rilevanti due movimenti sociali: la rivoluzione femminista e l’ambientalismo operaio. Si inaugura una nuova stagione politica a partire dalle lotte operaie del 1968-69, rivendicazioni salariali, lotte contro la monetizzazione del rischio.
Risolvere la questione climatica non è più risolvere la questione Co2, ma trasformare il modo attraverso cui le società interagiscono con la natura e trasformare l’economia. Questa trasformazione metabolica è possibile attraverso performance politiche che rendono visibili il dissenso e le alternative, si parla di attivismo metabolico: istanze eco politiche che dal basso puntano a disturbare, bloccare, occupare e trasformare i flussi alimentati dal capitalismo, intervenendo direttamente nei paesaggi operativi che li tengono insieme e sperimentando valori, conoscenze e relazioni socio materiali alternative. La giustizia ambientale ha tra i suoi obiettivi più recenti la necessità di riconfigurare il concetto di natura, il suo carattere politico e dei meccanismi di depoliticizzazione che avvengono su di essa che diventano strumenti di governance.
Videogiochi e lotta climatica
Il videogioco è riconosciuto come uno dei più potenti media attualmente disponibili. La ricerca di approcci innovativi per aumentare la consapevolezza sui cambiamenti climatici tra nativi digitali approda su videogiochi e giochi online, che stanno acquisendo progressiva importanza come piattaforme per la comunicazione, l’istruzione e il cambiamento sociale. Si distinguono per l’interattività e una narrazione immersiva capace di trasmettere ai giovani giocatori l’importanza di questioni che li riguarderanno in un futuro non lontano. Oggi non di rado si ricorre all’impiego di videogiochi in contesti educativi come strumento didattico per gli insegnanti. L’autore Sheppard infatti propone una semplice formula a proposito di una comunicazione efficace sulla crisi climatica: rendila locale, visibile e connessa.
In questo caso vediamo come l’autore Paolo Pedercini ha approfondito il rapporto tra crisi climatica e videogiochi, concretizzandolo in due proposte interessanti: Lichenia e Phone Story. Essi rappresentano un valido esempio di videogioco come mezzo di espressione politica e sociale: prodotti dalle logiche ludiche accessibili, il cui intento non è intrattenere bensì smuovere le coscienze.
Lichenia: città per l’Antropocene
Ambientato in uno scenario di caos ambientale, Lichenia è un videogioco disponibile su browser il cui scopo consiste nel creare habitat umani nel turbinìo disastroso di eventi causati dalla crisi climatica. Si tratta di attuare un rimodellamento del naturale e di costruire un ambiente in cui insediare città sostenibili. È un gioco basato sul sistema sandbox: bisogna inserire cubetti di acqua, vegetazione o pietra per far nascere corsi d ‘acqua, foreste o città. Lo scenario evolve, mentre il giocatore tenta di ricostruire un mondo e di porre rimedio al disastro ambientale avvenuto prima. In alcuni casi, tuttavia, gli elementi dell’ambiente diventano una risorsa per trasformare quell’ambiente stesso. In questa modalità, l’ambiente stesso diventa un ostacolo o un “antagonista” che resiste al giocatore.
Tra i concetti che hanno contribuito alla creazione di questo gioco appare sicuramente quello di Antropocene: la nuova era geologica dominata dall’ uomo che porta i segni di un cataclisma, inscenato da strati di bottiglie rotte e plastica che riemergono dal terreno, simboli della nostra inefficienza ambientale. Lichenia propone una meccanica molto semplice, che nasconde la vera natura del gioco: è impossibile predire realmente quale sarà l ‘effetto che le nostre azioni – la costruzione di edifici, l ‘aumento degli alberi in una certa zona – avranno davvero sul mondo.
Un videogioco che si inserisce molto bene nell’attuale contesto mondiale, dove i discorsi attorno al cambiamento climatico sono quotidiani. Lichenia si contrappone alle rappresentazioni mainstream di altri ‘city games’, nei quali vigono scenari di realismo capitalista. Di solito nei giochi in cui si procede con la costruzione di città o una civilizzazione si parte da una situazione di tabula rasa, in cui l’ ambiente a disposizione appare immacolato. Nella storia però sono rari questi scenari: le città sono solitamente costruite a partire da impostazioni già esistenti che i colonizzatori semplicemente non considerano. È questo il caso di Lichenia da un ambiente confuso e inquinato, il via per provare a rimediare. Spesso si può essere colpiti da inondazioni o incendi a significare che occorre essere preparati a disastri simili poiché implicati nella pianificazione di città.
Phone story: il lato oscuro della produzione elettronica
Nel 2011 Molleindustria ha distribuito Phone Story: un videogioco che racconta la genesi dello smartphone, dalla raccolta di cobalto in Africa fino all ‘assemblamento nelle fabbriche cinesi di Foxconn. I criteri sono sui generis: in Congo bisogna sfruttare i minori, in Cina bisogna evitare che i dipendenti tentino i l suicido a causa delle pessime condizioni di lavoro. Venne subito bandito da iOS di Apple per contenuti giudicati troppo violenti (abusi su minori) e non rispettava alcune linee guide riguardanti l e donazioni, in quanto i l piano era donare il ricavato a gruppi come l’associazione Sacom di Hong Kong che opera a stretto contatto con gli operai della Foxconn – la stessa dove, tra il 2010 e il 2011 , si è registrata un’ondata di suicidi tra i dipendenti.
Il primo livello rappresenta una miniera, alcuni schiavi bambini e guardie a sorvegliare il lavoro. L’obiettivo è estrarre Coltan senza interruzioni, il giocatore deve spostare le guardie davanti agli schiavi che piangono e smettono di lavorare. Nel secondo mini – gioco alcuni operai vorrebbero suicidarsi lanciandosi dall’edificio e altri che spostano un telone elastico per salvarli: il giocatore deve controllare il movimento della rete di salvataggio per impedire la morte dei suicidi. Il terzo livello mette in scena l’ingresso di un negozio di elettronica, un personaggio appena fuori dalla porta e molti altri consumatori che corrono verso le vetrine. Il giocatore controlla il commesso e deve lanciare dei cellulari ai consumatori prima che arrivino a sbattere contro le pareti del negozio. Il livello conclusivo mostra un nastro trasportatore, circondato da quattro lavoratori vestiti di stracci, su cui appaiono diversi rifiuti. Il giocatore deve trascinare ciascun materia le – plastica, metallo, componenti elettronici – verso il lavoratore corrispondente.
La strategia persuasiva di Phone Story è più intima: il gioco non racconta solo le malefatte dei grandi brand dell’elettronica, ma spinge il giocatore a ripeterle in una simulazione messa in scena proprio su uno smartphone, proprio uno di quei prodotti criticati dal gioco. Così, le componenti ludiche servono da ponte tra una situazione macro (Apple e le sue scelte sociali, economiche e politiche) e una pratica micro (il giocatore, i suoi valori consumistici e il suo smartphone).
L’idea dietro a Phone Story era quella di “sentire il dispositivo stesso raccontare la sua storia”, risponde Pedercini, l’ideatore. Non sono solo le multinazionali a sfruttare il lavoro minorile in Congo ma, nel suo piccolo, lo è anche il giocatore. Per due motivi: uno, interno al gioco, è che è lui a spostare le guardie armate davanti a bambini schiavi; l’altro, esterno, è che ha comprato uno smartphone.
Greta Contardi
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