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La “corrida de toros” è una delle tradizioni spagnole più famose, ma è anche tra le più contestate, cruente e pericolose. Ripercorriamo la sua storia e capiamo perché oggi è ancora così difficile da sradicare
La corrida non dovrebbe essere considerata un bello spettacolo. Coinvolge la morte, la sofferenza e la tortura. Forse una concezione simile di “spettacolo” era lecita ai tempi dei romani, quando nelle arene si sfidavano i gladiatori e si combattevano gli animali selvaggi, o quando nel Medioevo si tenevano i tornei tra cavalieri – le cosiddette giostre. In questi giuochi gli animali non erano protagonisti, erano solo un mezzo. Tutt’altra cosa accade nelle corride, in cui l’animale, in questo caso il toro, è insieme all’uomo uno dei duellanti.
Nonostante in tutta la Spagna ci siano da anni molte proteste e movimenti di animalisti e non schierati contro questa tradizione, per molti rimane uno spettacolo molto sentito, un avvenimento importante a cui difficilmente si vuole rinunciare. Le città in cui ancora oggi si svolgono le fiestas nacionales più celebri sono Pamplona, Siviglia, Valenza e San Sebastiano.
Tauromachia: storia e tradizione
Senza scomodare greci e romani, che già conoscevano e praticavano le corse con i tori, le prime testimonianze sulla corrida moderna risalgono al 1040. I documenti riguardano Rodrigo Díaz de Vivar, che a cavallo uccide con una lancia dei tori. Da allora, questa attività viene riproposta immancabilmente in tutte le feste nazionali, e i nobili sono i principali protagonisti (i Borboni tra tutti). Con Giovanni II questi eventi smettono di svolgersi nelle piazze perché vengono costruite le prime plazas de toros, specifiche arene pensate apposta per le corride.
Il primo sovrano a non vedere con entusiasmo la corrida è Filippo V, che allontana la nobiltà, così il popolo ne approfitta sostituendovisi felicemente. Successivamente, Carlo III vieta gli spettacoli, ma il decreto non scalfisce minimamente la loro diffusione. Tant’è che il ritorno al trono del re Ferdinando VII, dopo l’invasione dei francesi, segna la definitiva affermazione della corrida. Anche se in un primo tempo vieta la corsa dei tori, in seguito, con un decreto del 1830, fonda a Siviglia la scuola di tauromachia, con l’intento di consolidare ed elevare la tradizione.
Il toro
E’ stordito e obbligato a stare dalle quattro alle sei ore in una stanza buia e isolata, in modo da immagazzinare quanta più rabbia possibile. Poi, prima di entrare nell’arena, gli viene conficcato un’arpione nel dorso che gli fa perdere circa tre litri e mezzo di sangue. Questo punteruolo lesiona gravemente l’animale, producendo un’emorragia. Il toro è debilitato e sfavorito: non riuscirà per tutta la durata del torneo ad alzare la testa. Successivamente, se il toro non muore prima, l’atto finale consiste nel conficcare la spada fra le spalle dell’animale, uccidendolo definitivamente.
Il torero e il matador
Il torero, nel nostro immaginario comune, è una persona che indossa un costume tipico e che, agitando un mantello (muleta) dai colori sgargianti, esegue con sfrontatezza dei passi di fronte al toro. Ma essere un torero è molto di più. Sono in ballo la paura e l’adrenalina, ma soprattutto il pericolo: ogni domenica, infatti, rischia la propria vita. Allo stesso tempo è una professione che garantisce onore, fortuna e gloria.
Il matador è invece il presidente, colui che alla fine di una corrida consegna al torero trionfante l’investitura (alternativa) che lo farà entrare in questa categoria. Nonostante le vittorie, la scalata verso il successo non sarà facile: dovrà conquistare il suo pubblico raccogliendo stima e confermando le aspettative. In cambio, i soldi e la fama sopperiranno tutti i mali. In ogni modo, i toreri diventano quasi tutti milionari.
Una riflessione doverosa
Forse è vero che la corrida è una tradizione solamente ispanica e che a noi italiani non ci rappresenta. La conosciamo in modo superficiale, con cliché e luoghi comuni. Se viene abolita o continua a svolgersi, poco importa. O almeno, è così per alcuni.
Quanto può essere sostenibile e appagante, nel 2021, uno spettacolo cruento in cui nella maggior parte dei casi muoiono e soffrono degli animali senza un apparente motivo? In cui, sempre più volte, perdono la vita o rimangono gravemente feriti anche gli uomini?
Ogni anno circa 3mila tori muoiono nelle arene, mentre dal 1700 ad oggi dei 125 toreri più importanti 42 hanno perso la vita e quasi tutti i toreros sono trafitti e feriti almeno una volta all’anno.
Lo spettacolo in sé è qualcosa di profondamente deviante: piace perché si tratta dell’uomo trionfante che prevale sull’animale. Qual è la sua utilità? Certo, molte tradizioni non hanno un preciso perché: sono tradizioni, e solo per questo motivo devono continuare a esistere. Forse, allora, è il caso di ripensare al significato di “tradizione”.
Questa parola non può essere qualcosa di intoccabile solo perché un tempo era così. L’ordine delle cose può e a volte deve necessariamente cambiare. Perché la mutevolezza del presente, la sua continua trasformazione ed evoluzione nel nome dell’innovazione e dell’intelligenza, racchiude la speranza di un futuro.
Il tramonto della civiltà
Per questo, quando si fa riferimento all’importanza della corrida, non ha senso appellarsi alla cultura o allo scontro tra uomo e natura (cioè l’animale), così imponente e stupefacente, che rapisce ed emoziona. Quello che conta, oggi, in un epoca profondamente minacciata dal cambiamento climatico, è riscoprire l’importanza del nostro rapporto con gli animali. Non è una cosa da poco come sembra, e non si deve essere per forza animalisti o attivisti per comprendere la centralità di questa connessione e vicinanza.
Dimenticarsi o far finta di non sapere che entrambi facciamo parte di uno stesso equilibrio precario significa non volere il bene di tutti, puntare al baratro consapevolmente. Ce l’ha insegnato quest’ultima pandemia e ce lo hanno insegnato tutte le altre epidemie (da quella della mucca pazza all’aviaria).”Giocare” con gli animali, ritenersi superiori ad essi crea problemi, criticità. È un rischio per tutti.
Tutto ciò non è qualcosa che concerne solamente la sfera etica, morale e individuale, ma come al solito riguarda la collettività. Ogni volta che un toro viene ucciso o che un uomo muore in un’arena durante la corrida abbiamo perso tutti. La civiltà “muore” ad ogni corrida, calpestata e sotterrata da ideali anacronistici e disumani che dovrebbero essere ormai superati da decenni.
“Una barbaria anacronistica”
In Catalogna, nel 2012, era stata abolita, e il parlamentare Jose Rull aveva commentato così l’interdizione della corrida: «Ci sono tradizioni che non possono rimanere le stesse in tempi in cui la società cambia. Non dobbiamo proibire tutto, ma le cose più degradanti sì». Il divieto purtroppo è durato poco: nel 2016 è stato prontamente annullato dalla Corte Costituzionale spagnola perché questa decisione non poteva essere presa dal Parlamento regionale catalano. Alle regioni, la Consulta ha detto che non sarà concesso abolire la corrida, ma solo regolamentare gli spettacoli e proteggere gli animali. E’ un paradosso: in che modo si possono proteggere e tutelare i tori se la corrida continua a svolgersi?
Alla fine di una puntata del programma tv “Indovina chi viene a cena”, la giornalista Giannini Sabrina dedica spazio a quella che definisce la farsa dietro la corrida. Mentre alcuni cittadini intervistati sostengono sia un’arte e rappresenti la cultura del Paese, Josè Enrique Zaldivarm, Presidente Avatma (Associazione veterinari abolizione tauromaquia), afferma che la corrida in realtà è finanziata con le tasse dei cittadini europei. I soldi della corrida infatti sono nascosti dietro ai finanziamenti agli allevatori dei tori: su 600 allevamenti di 1000 analizzati, emerge che in sedici anni almeno 20 milioni di fondi europei sono andati a finire agli allevamenti di tori da corrida. Un ultimo e ulteriore tassello che si aggiunge e prova quanto la corrida sia una tradizione difficilmente tollerabile.
Sara Ausilio
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