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“Aria” è il primo disco di Alan Sorrenti. Sperimentale e raffinato, è una pietra miliare della nostra musica che compie cinquant’anni
“Siamo figli delle stelle/pronipoti di sua maestà il denaro”. Così Franco Battiato, nel 1987, in “Bandiera Bianca” stroncava Alan Sorrenti, reo di aver scelto di fare soldi con quelli che ancora oggi sono dei “classici” italiani: “Figli delle Stelle”, “Tu sei l’unica donna per me” e un mucchietto di altri singoli che diedero notorietà al cantante napoletano tra il finire degli anni ‘70 e tutto il decennio degli Eighties.
Ma come mai Battiato si era lasciato andare a una frase così livorosa? Ruggine personale o consapevolezza di un talento sprecato? Una figura come quella di Franco Battiato è difficile da inquadrare nel contesto di un dissing con altri artisti, quindi possiamo affidarci senza dubbio alla seconda ipotesi.
La carriera di Alan Sorrenti
Alan Sorrenti nasce a Napoli, da padre napoletano e madre gallese. Cresce in uno di quei paesini del Galles dai nomi impronunciabili pieni di “y” e di “w”, e all’inizio degli anni Settanta muove i primi passi nel mondo musicale. Nel 1972, il suo primo disco, “Aria”. Viene messo sotto contratto dalla Harvest, etichetta indipendente e sperimentale che gravita nell’orbita della Capitol Records – che a quell’epoca poteva già vantare nel suo catalogo i Pink Floyd, i Deep Purple e la Electric Light Orchestra.
Erano anni fertili per il progressive rock, che nasceva grazie ai gruppi seminali come i Genesis, i Van Der Graaf Generator e i King Crimson, ma il nostro Paese non restava certo indietro. Basti pensare che il 1972 è l’anno di “Storia di un minuto” della PFM, e che l’anno successivo sarebbero arrivati “Felona e Sorona” dei Le Orme e “Arbeit Macht Frei” degli Area. Il prog, in Italia – sostengono molti studiosi -, sembra aver attecchito in maniera particolarmente salda a causa della sua particolare forma strutturale, che lo riconduce alla tradizione classica e lirica. Ed è proprio da questa frase che bisogna partire per interpretare questo album di Sorrenti.
“Aria”
Ben sei anni prima degli esperimenti di “Cantare la voce” di Demetrio Stratos, Alan Sorrenti confeziona un album in cui la sua voce è a metà tra il metafisico e lo sciamanico, sempre sospeso tra modulazioni vocali che sembrano ottenute tramite effetti di pitch shifting – quasi più esercizi che melodie. E di melodico nel senso “tradizionale” troviamo ben poco, anche sotto un profilo puramente commerciale. Il vinile prevedeva sul lato A la sola title track: “Aria”, infatti, dura quasi venti minuti. Il lato B prevedeva invece “Vorrei incontrarti”, “La mia mente” e “Un fiume tranquillo”.
“Aria” è un po’ il riassunto del disco intero, dove una sorta di folk onirico si mischia ad atmosfere ruvide, che producono un effetto-montagne russe con continui saliscendi vocali. Raggiunto il climax, l’atmosfera si attenua e si ricomincia.
“Vorrei incontrarti” è una ballata monacale, un canto d’amore che un eremita scalzo intona all’eco del suo rifugio – oltre ad essere il brano più famoso di questo disco, perché quello più “quadrato” e cantabile. Le ultime due canzoni, “La mia mente” e “Un fiume tranquillo”, sembrano essere un concept a sé stante, dove Sorrenti rimastica il concetto caro a Jean-Paul Sartre della letteratura intesa come “trottola che esiste solo quando è in movimento”, applicandolo a sé stesso e ai suoi sentimenti, le sue sensazioni. “La mia mente è piena di cose, ed io le incateno, ed io le ammucchio ed io le creo e questo treno le muove e le scatena. E solo il fiume di un paese morto riporta nel suo letto tranquillo il mio povero scrigno”. Queste frasi sono estratte e connesse dalle due canzoni citate. Sembra un unico discorso, e forse lo è davvero.
Un disco che è una pietra miliare
Non è certo un caso se persino lo spietato Bertoncelli (quello de “L’Avvelenata” di Guccini) non esitò a definire “Aria” come “il primo disco di pop italiano completamente riuscito”. Così come non lo è il fatto che questo album sia stato recentemente riscoperto e, grazie alle tecnologie digitali, abbia avuto la possibilità di essere ascoltato presso un pubblico contemporaneo, capace di cogliere la grandezza di un album che l’anno prossimo compie cinquant’anni.
Il Sorrenti di “Aria”, dopo un altro disco sperimentale – “Come un vecchio incensiere all’alba di un villaggio deserto” -, deciderà, complice una crisi personale, di diventare “pronipote di sua maestà il denaro”, lasciando il posto al Sorrenti più glam, disco, funk – e chi più ne ha più ne metta. Resta il fatto che questo è il suo primo disco, ed è assolutamente annoverabile tra le “pietre miliari” della nostra musica.
Mario Mucedola
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