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Rivendicare un pezzo di terra è semplice, ma anche un pianeta, il Sole o il nostro satellite non sono così lontani come sembrano. Fra chi rivendica il Sole per sé e chi vende appezzamenti sulla luna, il colonialismo 2.0 sembra solo all’inizio
Quante volte, nelle commedie romantiche più sdolcinate, abbiamo visto la scena dello Hugh Grant di turno che porta la sua ragazza in giardino e le dice di guardare in cielo per mostrarle la stella che le ha comprato? Non si contano più. Eppure, questa pratica non è solo una pessima trovata narrativa per far sciogliere qualche cuore solitario, ma anche una cosa alla portata di tutti quelli che hanno un computer e qualche soldo da spendere. Comprare pianeti non è così complicato, ma andiamo con ordine.
Rivendicare qualsiasi cosa per i più svariati motivi
Qualche anno fa, alcune persone fra le più disparate hanno deciso di rivendicare per loro stesse il triangolo di Bir Tawil – un pezzo di terra fra Egitto e Sudan che non apparteneva a nessuno. Uno di questi l’ha fatto perché sua figlia voleva diventare principessa – ora, con un “regno” tutto suo, poteva farlo –, un altro perché voleva essere re. Negli anni ’60, l’ingegnere bolognese Giorgio Rosa creò su una piattaforma al largo dell’Adriatico la micro-nazione che prese il suo nome, e la perfezionò con lingua ufficiale e dei francobolli.
La Storia è piena di persone che hanno rivendicato terre o altre cose strane, perché di fatto chiunque può avanzare pretese su un territorio – a patto che ne abbia i diritti o dica di averli. È il causus belli più famosa e usata: la Germania con Danzica nella Seconda Guerra Mondiale, l’Alsazia e la Lorena, le isole Falkland. Ai tribunali, poi – o alla forza degli eserciti –, il compito di capire se i diritti siano leciti o meno.
La Terra è troppo piccola
Le rivendicazioni territoriali, però, non si fermano solamente al nostro pianeta. Qualche tempo fa, invero, una donna spagnola di quarantanove anni – Ángeles Duràn – ha rivendicato la proprietà del Sole. “L’ho fatto io”, ha detto, “ma chiunque avrebbe potuto farlo se gli fosse venuto in mente”.
La cosa assurda è che Ángeles Duràn potrebbe aver ragione. Secondo il Trattato sullo Spazio Extra-atmosferico, infatti – trattato di cui lei si è avvalsa –, nessun governo può rivendicare un pianeta o una qualsiasi superficie esterna alla Terra; tuttavia, non si parla mai – da nessuna parte – di civili e privati.
Il Trattato sullo Spazio Extra-atmosferico venne firmato durante la Guerra Fredda, e di base serviva per non avvantaggiare nessuno nella corsa allo spazio. Fra le altre cose, impedisce che una nazione metta sulla luna armi nucleari, tecnologia bellica di qualsiasi tipo, installazioni per estrarre minerali e simili. Di fatto, le norme sono le stesse che si applicano alle acque internazionali.
Ma i privati non sono governi, così Ángeles Duràn è andata da un notaio, ha stilato un atto di proprietà e ora vuole essere pagata dall’umanità perché questa usa tutti i giorni una cosa che le appartiene (anche se ha spiegato che si terrebbe solo una parte delle tasse, dando il resto alla Spagna, a enti benefici e alla ricerca). Se non fosse una storia completamente folle, ci sarebbe anche un fondo di verità – o quantomeno una critica sociale. “Quando hai una proprietà ha senso sfruttarla”, ha dichiarato. “Le compagnie elettriche beneficiano dei fiumi, che sono di tutti, quindi spero di poter approfittare del Sole”.
Ma comprare pianeti vale?
La risposta breve è: sì e no. In effetti, il Trattato sullo Spazio Extra-atmosferico non impedisce ai privati di rivendicare per loro stessi un corpo celeste, ma di contro non c’è mai stata nessuna giurisprudenza che deliberasse in merito. Prendiamo come esempio il caso di Dennis Hope, il “proprietario” della Luna, di Marte, di Venere, di Mercurio e di Io.
Il signor Hope, di base, fa il latifondista. Agli inizi degli anni ’90 si è messo seduto davanti al computer, ha scelto i pianeti che preferiva, ha indicato alcune aree di questi e ha detto che le possedeva. Fine. Anzi, no, perché Hope ha fondato una società che esiste tutt’oggi e che continua a vendere pezzi di luna, di Marte e di Venere a chiunque voglia comprarli.
Hope ha rilasciato un’intervista in cui ha raccontato di aver mandato una lettera alle Nazioni Unite per spiegare la sua rivendicazione tramite la clausola del Trattato sullo Spazio Extra-atmosferico di cui si parlava prima. Le Nazioni Unite, però, non gli hanno mai risposto. Ha specificato, però, che nessun governo si è lamentato, e che nessuna autorità ha contro-rivendicato i pianeti e la Luna, così lui è andato avanti per la sua strada.
Chi è che può comprare pianeti?
Nell’intervista, Hope ha dichiarato che la sua società Moon Estates ha venduto quasi 450 milioni di ettari complessivi, e che la sua attività non sembra così assurda. A quanto afferma, tre ex presidenti americani hanno comprato pezzi di Luna tramite terzi, e così diverse società; la catena di alberghi Hilton, come altri, possiede parecchi acri, e secondo Hope con l’intento ben preciso di costruirci qualcosa. Molti di quelli che hanno comprato, infatti, sperano un giorno di poter raggiungere in sicurezza, economia e facilità il nostro satellite, e possedere già un terreno è sicuramente utile.
Hope, insieme a quasi quattro milioni di proprietari, ha redatto una costituzione e fondato il Governo Galattico. Lo scopo è quello di proteggere i terreni da un qualsiasi governo, o da qualcuno più ricco che potrebbe atterrare sulla luna prima dei “legittimi” proprietari. Nella Costituzione, dice Hope, c’è scritto che i governi possono esplorare ma non costruire sui terreni che non appartengono loro – e qui torniamo alla questione della giurisprudenza.
Cosa posso fare per comprare pianeti?
Al momento, Dennis Hope ha venduto terreni di varia grandezza a più di sei milioni di persone, e finora gli unici oppositori sono stati altri privati che hanno il suo stesso potere giuridico. Nessuna istituzione si è mai lamentata o ha detto niente, e questo fin dal 1995. Ciò significa che al momento, legalmente – senza nessuna causa, nessun precedente –, Hope ha contemporaneamente ragione e torto di fare ciò che fa. Ha ragione perché lo dice lui e nessuno finora si è opposto, e ha torto perché “ufficialmente” non esistono leggi in materia. In un certo senso, Hope è un pioniere – un colono che sbarca su un’isola deserta e la rivendica per se stesso.
Se aprite il sito di Moon Estates, la Home vi propone subito la possibilità di comprare 1, 10 o più acri di Luna. Cliccando su un acro, poi, finirete in una pagina dedicata per scegliere definitivamente quanti acri e se desiderate che l’attestato di proprietà venga incorniciato. Nel pacchetto, inoltre, è compresa una mappa per capire dov’è localizzata la proprietà e una lista dei minerali e delle risorse presenti sull’appezzamento. A quanto pare, un acro di Luna con atto incorniciato costa solo 41 dollari e 25 cents.
Perché comprare un pezzo di luna?
Nell’intervista di cui si parlava prima, una delle domande rivolte a Hope è stata: perché? Perché la gente compra pezzi di pianeta su cui, presumibilmente, non potrà mai andare? Finché si tratta di ex presidenti o aziende multimilionarie, infatti, non si può mai sapere – magari fra trent’anni i viaggi Terra-Luna saranno all’ordine del giorno –, ma un privato cittadino, nella sua vita mortale, non avrà certo occasione di salire su una navicella e andare a vedere la sua proprietà.
Hope sostiene che molti lo facciano per la novità, per la stranezza e l’unicità; alcuni – dice – lo comprano a nome di un fondo benefico, dimostrando che ci sono anche motivazioni nobili, mentre alti lo fanno solo come regalo o per soddisfare un piccolo sfizio. Quello che è certo è che a nessun governo del mondo sembra importare se una persona qualsiasi possiede un pezzo di Luna, quindi la vera domanda è: perché no?
Probabilmente – a prescindere da leggi, nobili gesti o regali –, questa storia racconta sull’umanità molto più di quel che appare. Da un lato, c’è il bisogno di esplorare, di sapere e di andare oltre; dall’altro, la smania di possedere, di comprare e di avere tutto per noi. Di base, un pezzo di luna non serve a nessuno, ma avere un foglio che dice il contrario soddisfa un certo tipo di ego materialista. È il colonialismo 2.0, definito dalle illimitate possibilità della Rete e da una smania di cupidigia mai sopita.
Alessandro Mambelli
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