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Maria Cristina Chierico
(Questo abstract è stato realizzato sulla base della tesi di laurea di Maria Cristina Chierico dal titolo “Atti persecutori: dalle molestie fisiche al cyberstalking”)
La parola stalking deriva dal verbo inglese “to stalk”, letteralmente “fare la posta”, e viene utilizzato per indicare una serie di comportamenti adottati da parte di un individuo, definito stalker, i quali vengono indirizzati verso un’altra persona. Tali atteggiamenti sono volti a generare stati di paura e ansia, che – in alcuni casi – possono compromettere lo svolgimento della vita quotidiana della vittima.
Fino a qualche tempo fa, lo stalking veniva considerato un evento tipico dello star system, in quanto i primi casi attestati vedevano coinvolte alcune celebrità, ma oggi tale fenomeno è diventato
sempre più frequente, estendendosi all’ambito domestico e a quello lavorativo. La casistica, infatti, evidenzia come più della metà dei casi di stalking (55%) si verifichino a seguito di una separazione oppure a seguito di una relazione amorosa, nel momento in cui una delle parti non sia in grado di accettare la rottura.
Le donne sono la categoria maggiormente colpita e grazie agli ultimi studi emerge un aumento del numero di atti persecutori perpetrati nei confronti degli “help professional”, ovvero la categoria in cui rientrano tutte le persone che lavorano nell’assistenza socio-sanitaria.
Dal punto di vista etimologico, il termine stalker può essere tradotta come “cacciatore all’agguato” e questo è particolarmente significativo, in quanto tali soggetti mettono in atto una serie di molestie assillanti, caratterizzate da appostamenti reiterati presso il domicilio della vittima o negli ambienti frequentati da essa e ripetute intrusioni all’interno della vita privata di quest’ultima, volte a instaurare un contatto personale, per mezzo di pedinamenti, telefonate o lettere.
Nonostante non esista una definizione generalmente accettata di stalking, gli studiosi delle molestie assillanti concordano nel considerare il soggetto stalker come colui che “si apposta”, “insegue”, “pedina e controlla” la propria vittima. Solitamente in Italia, al termine stalking si preferisce l’utilizzo di Reato di Atti Persecutori, il quale punisce chiunque “con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia e di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita” (articolo 612-bis Codice penale). La mia tesi di laurea si compone di sei capitoli, a ognuno dei quali è stata assegnata l’analisi di uno specifico aspetto di tale fenomeno.
Il capitolo iniziale è dedicato all’iter che ha portato allo sviluppo delle principali definizioni utilizzate per indicare il fenomeno e successivamente si procede ad analizzare i sette parametri necessari affinché un atto persecutorio venga classificato come stalking.
Il secondo capitolo esamina le principali caratteristiche, i comportamenti messi in atto dai molestatori e le strategie che essi mettono in atto per sfuggire agli standard morali, acquisiti durante il processo di socializzazione. È inoltre inclusa una tabella – di immediata comprensione – che sintetizza le condotte più frequenti e reiterate messe in atto dai soggetti in analisi.
Nel terzo capitolo si è cercato di realizzare un identikit dello stalker, pur essendo consapevoli che non esiste un unico e definito profilo psico-comportamentale del soggetto. L’analisi si fonda su alcuni parametri, quali il temperamento, il carattere e la personalità ed è volta a evidenziarne i caratteri principalmente ritrovati. Il capitolo successivo – il quarto – analizza l’altra “faccia della medaglia”, ovvero il secondo individuo coinvolto nell’attività di stalking: la vittima. Tale soggetto è “parte” fondamentale per lo stalker, in quanto, in base agli atteggiamenti adottati, egli o ella può intensificare o ridurre i comportamenti assillanti.
Il quinto capitolo si presenta come un’attenta ed esaustiva classificazione dei vari tipi di stalker, la quale pone il focus dello studio sugli aspetti motivazionali dei soggetti presi in analisi. In relazione alle categorizzazioni sopra riportate, si evince che lo stalking è una patologia della comunicazione e della relazione, in cui si crea una disparità percettiva tra l’autore della molestia e la vittima del reato.
Infine, l’ultimo capitolo approfondisce il tema del cyberstalking, ovvero quando gli atti persecutori e le molestie non sono più fisiche, ma vengono perpetrate all’interno del mondo digitale e mediante l’uso delle nuove tecnologie. Il cyberstalking risulta meno impegnativo, perché richiede uno sforzo fisico minore, ma – al tempo stesso – viene percepito come meno “soddisfacente” da parte dell’autore di molestie, in quanto viene a mancare il contatto concreto con la vittima. Di conseguenza, molto frequentemente gli stalker preferiscono adottare un approccio ibrido: si realizza, quindi, il passaggio dalle molestie online a quelle offline.
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