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Il ritratto del sensitivo torinese che ha stregato Einstein e Fellini
In pochi conoscono la storia di quest’uomo sui generis che ha costruito la propria vita sui risvolti del mistero, sfidando ogni possibile legge della natura e ogni rigore scientifico. Il suo nome è Gustavo Adolfo Rol ed è nato a Torino – città nota per l’interesse nei confronti dell’occulto e al centro del cosiddetto triangolo esoterico della magia bianca, che comprende Lione e Praga – il 20 giugno del 1903. La sua famiglia è nota nel capoluogo piemontese, fa parte del salotto buono ed è vicina agli Agnelli: Vittorio, il padre, è direttore di banca e la madre Martha, di origini parmigiane, è figlia di un noto avvocato.
Che la sua sia un’esistenza fuori dal comune appare subito chiaro a tutti; l’episodio che lo certifica è quello legato alla sua prima parola. Non mamma né papà, bensì – come scrive Remo Lugli nel libro Gustavo Rol, una vita di prodigi. Ed. Mediterranee – Napoleone. Un bambino di due anni che conosce Bonaparte suona già strano ed esordire nel mondo in questo modo sembra addirittura assurdo. Da quel momento la sua vita s’immette in un binario parallelo. La sua esistenza si arricchisce di un fascino tenebroso, a tratti macabro. Inizia così il suo straordinario percorso che lo porterà a essere considerato un grandissimo mentalista, sensitivo, parapsicologo, prestigiatore, chiaroveggente, negromante e – a detta dei suoi detrattori – ciarlatano.
Le doti di Gustavo fra solitudine e malinconia
Comincia prestissimo a dare sfoggio delle sue sorprendenti qualità: riesce a indovinare il seme di una carta da un mazzo ancora intonso e sigillato, a leggere da libri chiusi che non ha mai visto né letto, ed è capace di dipingere e suonare senza toccare pennelli e tasti del pianoforte.
C’è una dominante in tutto questo ed è la sinestesi che lega il colore verde alla quinta nota musicale. La fusione di questi due elementi gli consente di scoprire quella che lui chiama la coscienza sublime, definita come “un mezzo inderogabile per avvicinare e conoscere nella loro vera natura tutti gli altri fenomeni che fin qui, nei tentativi dei cosiddetti spiritisti, non andarono oltre il capitolo della medianità”. Senza di essa l’uomo non riuscirebbe ad accedere alla propria identità spirituale, non contemplerebbe la trascendenza come possibilità e rimarrebbe legato alle radici dell’immanenza. La coscienza sublime è il viatico per raggiungere i mondi lontanissimi cantati da Battiato: il mezzo attraverso il quale abbandonare la caducità e la superficialità dell’apparenza e percorrere le vie che portano all’essenza.
Lugli non si limita a snocciolare le doti dell’amico, ma minia i contorni della personalità di Gustavo Rol; emerge il ritratto di un uomo umile, fragile e sensibile, divorato dalla malinconia e dalla solitudine. I presunti amici e i conoscenti, che partecipano alle serate da lui organizzate in casa, dove propone i suoi esperimenti, lo trattano alla stregua di un fenomeno da baraccone: ne sono affascinati, ma allo stesso tempo intimoriti.
Nei suoi diari tiene traccia di questo turbamento: soffre per queste doti che sembrano relegarlo all’isolamento e confinarlo negli anditi più bui della solitudine. Finisce in convento, dove si ritira a meditare, e dal quale uscirà grazie all’aiuto della madre. È un funambolo sospeso su un filo sottile che separa la miscredenza e l’ortodossia, la sacralità e l’empietà, la verità e la menzogna; vittima e allo stesso tempo carnefice di sé stesso e di un mondo troppo chiuso per comprendere ciò che non riesce a spiegare razionalmente.
Il sensitivo duranti gli anni della guerra
Durante i mesi che precedono il proclama di Badoglio, riguardante l’armistizio di Cassibile dell’8 settembre del ’43, Rol e la sua famiglia si ritrovano sfollati a San Secondo (nella bassa parmense). È in questo periodo che – mantenendo fede ad una promessa fatta alla madre – mette effettivamente a disposizione del prossimo le sue straordinarie doti, riuscendo così a salvare e proteggere i partigiani e i renitenti alla leva condannati a morte dai nazifascisti.
Propone agli ufficiali dei curiosi scambi: una vita per ogni esperimento riuscito. E così, prodigandosi e dando adito alle sue incomprensibili e incommensurabili capacità, riesce a leggere da libri chiusi scelti a caso dai soldati e a recitare per filo e per segno le lettere che gli stessi hanno scritto alle rispettive famiglie, e custodiscono gelosamente in tasca.
I nazisti, esterrefatti dai prodigi di quest’uomo, tengono fede al patto e liberano i prigionieri. Questa sua intercessione nel salvare molte vite gli è riconosciuta dal sindaco di San Secondo, con un documento a nome del Comitato di Liberazione Nazionale che attesta l’importanza e l’essenzialità del suo intervento.
Rol però non si limita a questo, si dedica (anima e corpo) a salvare vite, riuscendo, spesso, a diagnosticare e vedere ciò che sfugge all’occhio dei medici; accompagnando fisicamente i pazienti in ospedale e seguendoli fino alla completa guarigione. La costante di questo suo “lavoro” è la gratuità: per tutto quello che ha fatto (è giusto sottolinearlo) non ha mai accettato un compenso, anzi ha sempre declinato ogni proposta, ribadendo che: “Anche se solo lucrassi un soldo con un mio esperimento so che tutto sarebbe finito. Quello che faccio lo devo fare per gli altri”. L’altra costante è la spontaneità: non opera mai su commissione o richiesta, perché ogni cosa deve essere fatta in modo genuino e senza costrizioni.
La pittura senza pennello e colore
Il periodo del secondo dopoguerra è quello in cui si dedica alla pittura, altra sua grande passione. Dipinge di tutto e si dedica a quella che definisce “pittura al buio” ovvero degli esperimenti nei quali il dipinto viene fuori da solo senza il bisogno del contatto con i pennelli e i colori. Riesce così a dipingere anche quadri di Picasso, Chagall e Ravier, che anche sotto la lente degli esperti sono dichiarati autentici. È consapevole che tutto ciò che fa ecceda di buon grado le leggi della natura.
“Tutti possono arrivare a fare quello che faccio io in quanto ognuno di noi detiene le mie stesse “possibilità”. Bisogna volerlo. A me e a tutti coloro che si mettono con fiducia assoluta su questa strada è dato di giungere alla conoscenza di quell’equilibrio perfetto che governa l’universo”.
Per lui ogni uomo è dotato di uno spirito intelligente, qualcosa che permane anche dopo la morte, perché legato indissolubilmente ad un posto o ad una storia particolare. Si può definire come una sorta di genius loci, un’entità fantasmatica, che mantiene un legame col passato e non riesce ad andare oltre; come in un moto continuo, che segue il principio lavoisieriano: nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. Rol è convinto del fatto che l’anima, una volta libera dalle pastoie del corpo, possa rimanere comunque ad libitum in un limbo di contraddizioni, prima di trovare pace.
Le sue doti e il suo fascino ipnotico stregano tutti, dai capi di stato agli scienziati più illustri, da De Gauelle a Einstein, passando per scrittori e artisti come Dino Buzzati (che ha scritto tanto su di lui), Alberto Bevilacqua, Federico Fellini. L’aneddoto più curioso – raccontato nel libro di Lugli – però è quello legato all’incontro con Mussolini che lo invita a Palazzo Venezia nel 1942 per chiedergli semplicemente e seccamente come sarebbe andata la guerra. Rol ha un attimo di esitazione, ma poi risponde netto: “Duce, per me la guerra è perduta”, la risposta di Mussolini è piccata, ma composta “staremo a vedere”. Gustavo aveva visto anche dell’altro, il suo interlocutore impiccato a testa in giù in una piazza nel 1945.
Dario Amighetti
Segnalo che si tratta dell’accordo di quinta, non della «quinta nota».