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“Che schifo”, “che impressione”, “staresti meglio con qualche chilo in più”, “ma ti danno da mangiare a casa?” sono queste solo alcune delle tipiche frasi che almeno una volta un ragazzo o ragazza ha dovuto ascoltare, in quanto considerato/a “troppo magro/a”.
Negli ultimi anni si è parlato molto di body shaming, l’atto di derisione rivolto ad una persona per il suo aspetto fisico, riguardante per lo più le donne che gli uomini. Spesso però, il body shaming viene erroneamente associato solo al fat shaming, la discriminazione rivolta alle persone in carne, mentre lo skinny shaming viene lasciato nel dimenticatoio. Mettere alla gogna gli individui di corporatura magra: è così definita l’ultima ventata d’odio. E quale luogo migliore se non i social network dove i leoni da tastiera possono dare libero sfogo alla propria cattiveria?
Si sentono dire “come sei fortunata/a a non dover andare in palestra”. Step successivo: “Dovresti mangiare di più”. Ultimo step: “Sembri anoressico/a”. Come spiegare però che la parola “magra” non è sinonimo di “anoressica”? I social in questo hanno sicuramente un’influenza importante, schierandosi per combattere quest’ultimo fenomeno. Recentemente, Tik Tok, una delle app più popolari al mondo con oltre 800 milioni di utenti, ha deciso di rimuovere gli account pro-anoressia. Account dannosi, dove fino a poco prima della chiusura, si potevano trovare indicazioni chiare e precise su come perdere peso.
In alternativa, come slogan, spesso viene proposto anche “le vere donne hanno le curve (le ossa diamole ai cani)”. Come se chi le curve non le ha non potesse essere considerata effettivamente una vera donna. Keira Knightley, attrice inglese, che da anni deve spiegare alle persone di non essere anoressica, non può essere etichettata come vera donna? Eppure, la star britannica vanta un importante curriculum. Candidata agli Oscar e ai Golden Globe come miglior attrice a soli 21 anni, è stata anche recentemente nominata a Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico per l’impegno benefico a fianco di alcune associazioni. L’influencer Camihawke rispose in maniera chiara e coincisa ad uno dei tanti leoni da tastiera che aveva fatto un’esternazione sul suo corpo, affermando che dire ad una persona che è una cicciona, non è più grave di dirle che è anoressica, rappresentando entrambi due insulti.
Due pesi, due misure
Il fat shaming e lo skinny shaming rappresentano due volti della stessa medaglia, che da sempre determinano esempi di mancanza di sensibilità. Corpi “troppo” grassi o “troppo” magri. Tutto troppo. Qualsiasi commento sul corpo fa notare quello che “non va” a una persona che nella maggior parte dei casi ne è consapevole, ma altre volte non si sente a suo agio con il proprio corpo così com’è. Quale diritto abbiano le persone di commentare ad alta voce su una fisicità, di preciso non si sa.
Elodie, cantante italiana, spiegò: “Io mi sono stancata di dovermi difendere dalle persone che pensano che io non mangi. Io mangio. […] Quando vedi una donna che ha preso 3-4 chili non è che tu vai lì e le dici “Oh comunque magna de meno” non ti permetti giustamente. Se una donna perde due chili, […] tu mi vedi leggermente magra e mi dici “Eh però devi mangiare, eh” come se io avessi un problema alimentare, […]. Il tutto era nato dietro le quinte del Festival di Sanremo, quando Marco Masini si era rivolto a lei dicendole di dover mangiare di più.
Molto spesso questo si ripercuote nella realtà, c’è chi decide di non pubblicare una foto in costume per evitare i possibili commenti. La regola di base diventa piacere a tutti gli altri tranne che a sé stessi.
È sempre stato così?
Spesso le forme del corpo soprattutto femminile hanno contribuito a costituire simboli per permettere di riconoscere il proprio status sociale. Nei secoli passati le forme abbondanti erano considerate simbolo di ricchezza. Al contrario, al corpo esile era attribuito il significato di povertà, dato che solo le persone del popolo erano magre, mangiando poco e lavorando assai. Le curve delle donne dell’Ottocento vennero poi sostituite negli anni ’20 del Novecento dall’ideale di donna magra a cui si opporrà nuovamente l’abbondanza delle forme in epoca fascista. La donna italiana doveva essere formosa con fianchi ampi, in quanto madre della futura stirpe obbligatoriamente robusta, sana e forte. Anche in seguito alla Seconda Guerra Mondiale i canoni estetici femminili confermano la bellezza ideale caratterizzata da donne formose, come simbolo della rinascita. Ne furono portavoce Marilyn Monroe e Brigitte Bardot con le loro misure seno- vita- fianchi 90- 60-90. Andrey Hepburn, negli anni Sessanta, rappresentò al contrario il canone di bellezza femminile dell’epoca: un fisico sottile, tonico e atletico mettendo in secondo piano solo momentaneamente la prosperità. A partire dagli anni Novanta e poi negli anni Duemila, si ripresentò la magrezza come ideale estetico, gestito dalle industrie della moda.
Come si può comprendere gli ideali sociali di bellezza sono stati, sono e saranno una montagna russa in continua evoluzione. Che senso ha dunque, condannare un determinato aspetto e glorificarne un altro? Criticare una persona per un ideale sociale del tutto arbitrario fa passare il messaggio che esista uno standard per essere socialmente accettati, tutto basato su una manciata di chilogrammi. Esistono corpi diversi che godono di salute perfette anche se non rappresentano lo “standard”. Salute non solo fisica, ma anche e soprattutto psicologica. Persone che accettano il proprio corpo così com’è. Perché troppo spesso il magro è associato ad un disturbo alimentare. E soprattutto, qualora fosse così, un commento ad alta voce non aiuterebbe certo la situazione.
Sofia Ciriaci
Brava Sofia, fatti valere.
Un’analisi minuziosa del fenomeno spiegata con chiarezza e immediatezza di linguaggio. Articolo molto interessante!