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Ad ogni luogo appartiene la sua leggenda e se in Francia c’è il calice miracoloso del Sacro Graal, in Scozia il mostro di Lochness, il pesce dei terremoti Nazimu in Giappone, anche la Sardegna ha una sua mitologia, le Janas.
Un’isola inserita da millenni in una rete di rapporti culturali, commerciali, geografici e politici, che ha fatto della sua multiculturalità un luogo di produzione, trasmissione e ricezione di miti popolari. In particolare, nei paesi dell’entroterra, i racconti sono tramandati dagli anziani alle nuove generazioni come un sapere univoco ed essenziale della tradizione popolare regionale e non è certo un caso che l’oralità porti a una variabilità degli eventi, anche a seconda del contesto di fruizione, si pensi solo alle varietà dialettali e alla differenziazione di parole con lo stesso significato.
Chi sono le Janas? Dall’etimologia all’essenza
Janas, giannèddas e gianas sono i termini sardi più in uso per indicare questo personaggio fantastico, ma le derivazioni linguistiche territoriali sono molteplici. A Perdas de Fogu chiamate mergianas, in Barbagia bìrghines e nel territorio sassarese lì faddi. Secondo l’etnologo e linguista tedesco Max Leopold Wagner, si ricollegano al nome di Diana, che nelle lingue romanze ha prodotto la zina rumena, la xana austriaca, la jà portoghese, la jana nel provenzale, janara in napoletano, la giana in toscana e in francese antico gene.
Secondo la credenza folkloristica le Janas sono fate di bassa statura, ritenute maliose e cattive come le streghe (mala Janas) a Tonara, Isili e Asuni, benevole e sagge in altre parti dell’isola, con vestiario rosso vivo e il capo coperto da un fazzoletto fiorito e adornato da fili d’oro d’argento. Al collo portavano grandi collane d’oro impreziosite da dettagli in filigrana, accessori delicati come la loro bianca pelle quasi mai esposta ai raggi del sole che le avrebbe fatte morire se si fossero ustionate.
Bellezza disarmante, voce dolcissima e aspetto grazioso danno origine all’espressione bella comènti una jana (‘bella come una fata’). Abili nel coltivare, raccogliere e macinare il grano nelle molas, costruite da loro stesse, da cui ottenevano la farina per fare su pani finiu (letteralmente significa pane fine e ricorda il Pane Carasau) che tramandarono alle panificatrici di Ozieri.
Janas lettrici di anime e di futuro
In particolare si immaginavano le Janas sempre di fronte ai telai d’oro, intente a cucire stoffe preziose trapuntate con fili d’oro e d’argento, con le loro dita sottili e delicate.
Si racconta che in prossimità delle domus de Janas, al calar della notte, si senta ancora il rumore dei telai ai quali tessono le fate. E quando qualcuno passava di fronte alle loro case, stendessero un grande velo bianco coprendo interamente la loro abitazione. Coloro che lo vedevano rimanevano come folgorati di fronte a cotanta bellezza, per cui se nell’anima erano malvagi venivano rapiti dai nani e condotti in una fossa insieme ad altri malcapitati meritevoli delle crudeltà delle Janas. Al contrario, se la persona era di animo nobile, onesta, riceveva grandi tesori per tutta la vita. Si pensa addirittura che queste figure mitologiche fossero le prime abitanti della Sardegna e in base alle zone si sente dire che furono loro ad insegnare i mestieri e le arti che tuttora sono celebri nel territorio, come appunto quello della tessitura a mano.
Donne anche dai poteri profetici, padrone del futuro dei nuovi nati che venivano al mondo come beni fatus (‘benedetti’) o mali fatus (‘disgraziati’) secondo un loro insindacabile verdetto. Tant’è che oggi in in molti paesi di una persona sfortunata o fortunata si dice: est affadàda mali o beni de is Janas (‘è affidata male o bene dalle fate’).
Ferrate ballerine di ballu tundu, un ballo sacro tradizionale sardo, che portò poi alla loro sparizione. Si racconta che durante una serata di ballo in un paesino vicino Macomer, uomini e donne si approfittarono della benevolenza di una Jana per sottrarle i bottoni d’oro dal vestito, tanto da rendersi conto che la cupidigia si era impossessata anche della gente sarda e decisero perciò di sparire per sempre abbandonando quei luoghi che tanto avevano amato.
Le Domus de Janas, abitazioni delle fate o necropoli?
Le Domus de Janas (dal greco hypogheios, “hypo” = “sotto”, “ghe” = “terra”), abitazioni delle fate, sono grandi costruzioni funerarie ipogeiche, dell’arte pre-nuragica, scavate nella roccia, a metà tra finzione e realtà. Nella mitologia regionale erano collegate alle Janas, ma l’archeologia classica dà una connotazione prettamente culturale. Queste piccole case, spesso erano collegate tra loro, raggruppate anche in 40 tombe, arrivano a formare delle vere e proprie necropoli sotterranee, con una porta di ingresso (dromos) e un atrio. Spesso erano arricchite da armadietti, tavoli, sedie e da altri particolari architettonici, quali porte e traveture. Le antiche strutture si accostano alla cultura di San Ciriaco e di Ozieri, popoli adoratori del sole e de toro, corrispondenti alla forza maschile, e della luna e della madre terra, simbolo di fertilità.
Testimonianze di questi culti sono date dalle raffigurazioni magiche, tra cui corna taurine stilizzate, esposte verso alba e tramonto, gli zig-zag o elementi a spirali. Le Domus sono perciò ricche di simboli legati alla sacralità dell’acqua e del fuoco, spesso erano inondate d’acqua oppure erano presenti dei focolai.
Non erano semplici tombe, ma veri e propri luoghi di culto. Alla base vi era la speranza dei vivi di una rinascita dopo la morte, grazie al Dio Toro e alla Dea Madre. Dal Neolitico fino all’Età del Bronzo, sono state ritrovate più di 2.400 Domus de Janas presenti in quasi tutte le località dell’isola e insieme alle Tombe dei Giganti caratterizzano la cultura funeraria della protostoria sarda e rappresentano una delle più antiche testimonianze della cultura nuragica. La maggior concentrazione di Domus de Janas si trovano nella zona di Sassari, Alghero, Oristano e nel Sulcis – Iglesiente. Le più importanti sono la necropoli di Montessu a Villaperuccio e quella di Anghelu Ruju ad Alghero, mentre visivamente più particolari sono la Domus Roccia dell’Elefante vicino Castelsardo e la Domus de La Rocca di Sedini ricavata da un gigante masso calcareo.
Raccontare e tramandare i miti sardi contribuisce a mantenere in vita la memoria collettiva dell’isola e il suo ricco patrimonio di fiabe e racconti popolari. I miti continuano a essere tramandati tra le generazioni con le denominazioni sarde senza mai fornire una traduzione, a testimonianza del forte potere di fascinazione che il folklore sardo possiede.
Valentina Brioccia
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