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Suona come una liberazione anche la giornata odierna, 26 aprile. L’Italia si riveste quasi tutta di giallo, si potrà tornare a mangiare fuori e i ristoratori avranno un po’ di respiro, fermo restando un improvviso e possibile ritorno alla zone arancione o rossa da una settimana all’altra.
Bar, cinema, teatri, piscine, palestre
La zona gialla, che era praticamente scomparsa dal radar del Governo, torna ora con una regolazione differente. Ancora lontana la prospettiva di una vera normalità, rispetto al passato pandemico, c’è una prima importante novità: bar e ristoranti riaprono a pranzo e a cena, quindi anche la sera, a certe condizioni. Su tutte: si potrà consumare soltanto all’aperto. Per il servizio all’esterno dovrà comunque essere previsto un rigido distanziamento dei tavoli e una chiusura obbligatoria alle 22. Riaprono anche cinema, teatri, sale concerto, locali di musica dal vivo e sarà concessa la partecipazione a eventi sportivi (sì, si potrà tornare allo stadio – sempre e solo in zona gialla): anche al chiuso, ma con un’altra serie di limitazioni, come il numero di partecipanti. Dal 15 maggio tornano le piscine e dal primo giugno le palestre. Le attività in linea di massima, ci sono tutte, anche i centri termali e i parchi divertimento. Si guarda evidentemente all’estate, periodo in cui è più complicato tenere la gente in casa.
Sulla spinta delle proteste
Il cosiddetto Decreto Apertura, al vaglio del Governo nella scorsa settimana, arriva non tanto perché la pandemia in Italia è sotto controllo, visto che si collezionano ancora 400 decessi al giorno. Piuttosto, è l’esito delle proteste di chi vuole a tutti i costi ripartire perché non ce la fa più. Gli esercenti pretendono di riaprire in sicurezza – così dicono – ma la sicurezza in molti casi non si può proprio garantire. Tra le richieste vi sono: la possibilità di aprire anche all’interno dei locali e di non rispettare il distanziamento dei tavoli di 2 metri, al grido di “perché gli Autogrill sì e noi no?”, l’abolizione del tetto del 30% per gli indennizzi, poter fare sedere ai tavoli persone che non siano congiunti e una netta opposizione al pass vaccinale.
Italiani, memoria corta
La comprensibile frustrazione dei ristoratori e di chi li sostiene, sembra omettere però, una delle poche cose che si erano comprese sul virus COVID-19, ovvero come si trasmette. Assimilato l’incubo droplet, con tanto di simulazioni e render, avevamo tutti visto come il principale canale di trasmissione del virus fosse l’aerosol, particelle emesse, molto piccole ma abbastanza da saturare una stanza. Lo dice lo studio “Nature” – pubblicato dall’Università di Stanford e da University of Chicago – che ha studiato i movimenti di 98 milioni di americani, e analizzato i modi in cui ci si contagia. Quando cioè, un elevato numero di persone si riunisce in spazi chiusi per un certo periodo di tempo, soprattutto se in questi luoghi si rimane senza mascherina.
E dove avviene ciò se non al ristorante? Non ci si ammala al cinema, sono chiusi. Ci si ammala poco negli uffici, in quanto sono quasi tutti in smart working, non ci si ammala in palestra (non ci andiamo da oltre un anno). Chi si è mosso dopo l’estate se non gli studenti che hanno frequentato in presenza, i fortunati in zona gialla e chi bazzica nei bar la mattina? Tutti gli altri sono chiusi in casa. O no?
La riapertura è dunque il frutto di un compromesso legato a evidenti ragioni di emergenza socio-economica. Mentre, per capire da dove arriveranno mai oltre 13 mila nuovi casi al giorno, tocca probabilmente interpellare le coscienze.
Coprifuoco
Poi c’è la questione coprifuoco: l’impossibilità di spostarsi dal proprio domicilio dopo le 22, è la misura per la quale si sperava una modifica, per esempio venendo prorogata almeno fino alle 23. A chiederlo erano principalmente i ristoratori. In estate dopotutto, l’ora del cosiddetto “secondo turno” o l’aperitivo lungo che si protrae fino a notte fonda sono molto importanti per gli esercenti. Impensabile per loro che la restrizione perduri fino al 31 luglio. Forti dell’idea che non esista alcuna correlazione fra il coprifuoco e l’incidenza sui contagi, quando Corriere della Sera ha diffuso l’informazione errata che avremmo subito la misura fino a fine luglio, si è scatenata una reazione unanime, in quanto sul Decreto aperture non c’è traccia di questa decisione. L’unica notizia che abbiamo sul tema è un comunicato del Consiglio dei Ministri che indicava la data del 15 giugno come possibile termine della restrizione. Questo non significa che il coprifuoco non può durare fino 31 luglio, data in cui scade lo stato di emergenza, cioè quel periodo – lo ricordiamo – durante il quale il Governo può avvalersi dei suoi poteri per disporre misure straordinarie. Dovremmo saperlo dopo 14 mesi di pandemia, o semplicemente ricordarci che il primo stato di emergenza arrivò il 31 gennaio 2020, mentre il coprifuoco molto dopo. In altre parole, le due cose non sono necessariamente collegate.
Proviamo a guardare nelle nostre coscienze
Paolo Giordano su Corriere della Sera scrive: “Nella settimana del 18 maggio 2020, al termine del lockdown duro, avevamo meno di mille nuovi contagi al giorno, e un totale di 66mila positivi. Vero è che la capacità di testing era molto inferiore a oggi e che si trattava quasi sicuramente di sottostime, ma tali erano gli ordini di grandezza. Qualche mese dopo, il 6 novembre, il giorno del dpcm che inaugurava l’Italia nelle fasce di colore e in cui ci avvicinavamo al picco di contagi della seconda ondata, i nuovi positivi erano quasi quarantamila, e si aggiungevano a una base di circa mezzo milione”. Certo, ci sono molte più condizioni da considerare adesso, su tutte, i vaccini. Se i CTS guardassero solo ai numeri della pandemia, non staremmo prendendo un caffè al bar stamattina. Ma ci sono urgenze sociali e fattori economici che non possono essere rimandati.
Compromesso
Proviamo a fare delle previsioni, partendo dai teatri o comunque da quei luoghi che necessitano di una programmazione: come si può pensare a una vera ripartenza se non sai mai di che colore sarà la tua regione dall’oggi al domani? Più facile immaginare cosa accadrà nei luoghi di aggregazione come i bar. Ci andremo, ovvio che ci andremo. In gran quantità. Sarà un trionfo di assembramenti. Si creerà movimento anche all’esterno dei locali e i maggiori quotidiani pubblicheranno le immagini delle piazze piene e dei Navigli straripanti (con annessa valanga di odio online). Le evidenze scientifiche sostengono la rarità dei contagi all’esterno. Ma non facciamoci troppe illusioni: le aperture incidono sui contagi e sui morti. Vengono concesse per permettere alle persone di uscire dalle condizioni di isolamento, respirare, recuperare socialità tra un lockdown e un altro.
Sofia D’Arrigo
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