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La sera del 30 ottobre 1938, Orson Welles recitò un radiodramma tratto da “La guerra dei mondi” come fosse un notiziario speciale che raccontava minuto per minuto lo sbarco dei marziani a Grovers Mill, New Jersey. La gente, presa dal panico, intasò le linee telefoniche, si rifugiò dove poteva o scappò nei boschi.
Chi era Orson Welles?
All’epoca “dell’invasione aliena”, Orson Welles non era ancora il grande regista che oggi tutti ricordano. Nel 1937, insieme all’amico John Houseman, fondò la compagnia teatrale Mercury Theatre. Già l’anno successivo la CBS li assunse per il Mercury Theatre on air, un programma che adattava a radiodrammi i classici della letteratura. Fu proprio grazie alla puntata del 30 ottobre che Hollywood lo notò. La RKO gli propose un contratto esclusivo per realizzare alcuni film in assoluta libertà – cosa che all’epoca nessun regista di Hollywood aveva o avrebbe avuto per almeno altri trent’anni –, e questo lo fece ammantare dell’aura dell’enfant prodige invidiato da tutti.
In realtà, la RKO aveva appena trovato un genio. Ancora oggi, l’American Film Institute considera “Quarto potere” – co-scritto, diretto e recitato da Welles nel ‘41 – il film più bello della Storia del cinema. La pellicola è avanguardia pura: profondità di campo, piani sequenza, narrazione per flashback che lo spettatore deve ricostruire, un affresco biografico complesso e pieno di sfaccettature. Fondamentalmente, Welles faceva un cinema che doveva ancora essere inventato.
“La guerra dei mondi“
Negli Stati Uniti dell’invasione aliena di Welles, la radio era la principale fonte di informazione e il passatempo preferito da tutti. Giusto per avere un’idea: nel ‘27, un terzo del denaro speso dagli americani per comprare oggetti d’arredo era investito in nuovi apparecchi radio; nel ‘22, le stazioni passarono da 28 a 570 nel giro di pochi mesi. Fondamentalmente, la possibilità di stare seduti in casa e ascoltare eventi che stavano accadendo a miglia e miglia di distanza affascinava la gente più di qualsiasi altra cosa.
Negli anni ’30, la radio era l’unico media perfettamente rodato. Ascoltato e posseduto da tutti – il cinema sonoro era appena stato inventato e la tv avrebbe cominciato le trasmissioni regolari solo nel ’39 –, era in radio che venivano trasmessi sceneggiati, notiziari, pubblicità e canzoni.
In questo clima di fiducia e gioia, la sera del 30 ottobre la sigla del “Mercury Theatre on air” precedette un finto bollettino meteo e l’annuncio di un imminente collegamento con una sala da ballo di New York; poi, dopo alcuni minuti musicali, arrivò la classica interruzione del notiziario speciale: “Signore e signori, interrompiamo questo programma…”. La trasmissione proseguì: “Mio Dio, dall’ombra sta uscendo qualcosa di grigio, che si contorce come un serpente… La folla indietreggia, porto il microfono con me mentre parlo”. E poi ancora: “Vi parlo dal tetto del Broadcasting Building di New York. I marziani si avvicinano. […] Tutte le comunicazioni con New York sono state interrotte circa dieci minuti fa. Non esistono più difese. Il nostro esercito è distrutto. Questa può essere l’ultima trasmissione”. Infine, dopo un’ora di programma, si sentirono strani rumori, urla e un tonfo, quindi il cronista “morì” in diretta radio.
Il giorno seguente, la stampa attaccò Welles per ciò che aveva fatto e il futuro regista dovette tenere una conferenza di scuse in cui spiegò cos’era successo. La Commissione Federale delle Comunicazioni aprì un’indagine che non portò a nulla. Sarcasticamente, il neo-cineasta commentò la cosa dicendo: “Per quello che abbiamo fatto sarei dovuto finire in galera, ma, al contrario, sono finito a Hollywood”.
Il potere dei media
La Hooper Rating Company calcolò che lo share della trasmissione arrivò fino al 15%, con punte di ascoltatori che raggiunsero i 6 milioni – e tutto grazie al passaparola. La maggior parte di questi, nonostante fosse specificato ripetutamente che si trattava di una finzione – il jingle del programma fu trasmesso più volte –, prese per vera l’invasione marziana.
Secondo lo psicologo Albert Cantril, i motivi per cui le persone credettero al regista furono molteplici. Innanzitutto, Welles scelse di raccontare la storia nel modo realistico di un notiziario speciale. Usò un imitatore del Ministro degli Interni che confermava lo sbarco e un “astronomo esperto” per rendere tutto più verosimile. In secondo luogo, il contesto storico contribuì non poco, perché la guerra era alle porte, il Paese stava lentamente uscendo dalla Grande Depressione e soltanto un mese prima i programmi erano stati davvero interrotti per aggiornare l’America sulla crisi di Monaco. Infine, la gente già fragile e incapace di credere che la radio potesse mentire fu contagiata dal “sentito dire” di amici e parenti.
E oggi?
Certo, all’epoca non c’era Internet, non c’erano i social e non c’era la possibilità di informarsi in tempo reale sugli avvenimenti in corso. Però sarebbe bastato cambiare stazione per scoprire che le altre frequenze non solo non dicevano nulla dei marziani, ma trasmettevano soap e spettacoli musicali come al solito. Anche se molti intuirono che si trattava di una finzione – la percentuale di chi cercò rifugio nei boschi fu plausibilmente più bassa rispetto a quella di chi semplicemente si prese un bello spavento –, i resoconti dell’epoca dimostrano che molte persone si riversarono comunque in strada per pregare in gruppo, oppure presero d’assalto le basi della Guardia Nazionale per cercare aiuto in barba alla razionalità. Della serie: “Se lo dice la radio dev’essere vero”.
Pensandoci, non è molto diverso da quello che tante persone fanno oggi quando prendono per veri allarmismi sull’immigrazione incontrollata, aggiornamenti sconcertanti sulla pandemia o qualsiasi altra notizia che potrebbe essere smentita da un veloce controllo. Viene da chiedersi se Welles fosse consapevole dell’esperimento sociale che stava portando a termine. Di fatto, creò una fake-news perfetta, la diffuse e fece sì che le persone la prendessero per vera, oppure potrebbe aver voluto semplicemente dimostrare quant’era bravo. In un modo o nell’altro, Orson Welles faceva un uso dei media che doveva ancora essere inventato.
Alessandro Mambelli
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