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Ritorno e testimonianze anonime “post” Coronavirus
Giorgia Persico
Il ritorno porta con sé sempre un po’ di malinconia, ma quando inizi a scorgere la tua terra senti l’appartenenza nell’anima.
Lontana per sei mesi, ho percepito la realtà attraverso schermi digitali; un Instagram intriso di stories su volti felici e gambe agili verso vette nascoste. Luoghi incontaminati. Covid-19 lì non è arrivato.
Oltre a tramonti nascosti, per ora, da un’estate lenta a partire. Ho ascoltato la voce di piccoli/e imprenditori e mamme in crisi con una didattica online che è riuscita a partire soltanto il 20 maggio. “La scuola è finita il 5 marzo”, denuncia una giovane madre. Suo figlio frequenta la 4 elementare all’istituto “Benedetto Croce” con sede a Caramanico Terme in provincia di Pescara. “Io mamma e maestra, a loro insegnano come insegnare. Mi sentivo impreparata. Non avevo la credibilità di un insegnante”. Power Point asettici senza nessuna spiegazione, compiti di cui si pretendeva l’autocorrezione. “I nostri ragazzi hanno delle lacune troppo grandi”, bambini resi fin troppo presto autonomi, abbandonati in casa davanti ad un libro di geografia senza mappe. Maestre lontane, in alcuni casi, a causa di un sistema bloccato e lento.
Vantiamo così tanto l’arguzia dell’uomo nell’era del 5G eppure in quel caso si è presentata l’indifferenza, promozioni e pagelle in omaggio.
“Il ristorante rimarrà chiuso, noi ci occupiamo di banchetti, sono stati banditi, proveremo con la riapertura dell’hotel.” Confessa una donna mentre è in fila, “ad un metro di distanza da me” fuori la nostra piccola copisteria di fiducia. Ad un pizzaiolo che le chiede “Claudia (nome di fantasia) come va?” “Eh, nulla faccio la casalinga ora. Il mio giardino crede sia un’ estranea me ne occupo dopo 25 anni. Il tempo, prima, non c’era”.
Un sorriso quando proprietari di Tabacchi mi dicono: “Noi, fortunatamente abbiamo sempre lavorato”.
L’amarezza più cupa è nel volto dei giovani lavoratori “Giò, io sono disperata, ho mandato il curriculum ovunque”, oppure: “stiamo ripartendo, ma pensa con il bar chiuso arrivavano bollette altissime da pagare, con 600 euro non riuscivo a pagare l’affitto”, confida una giovane donna proprietaria di un bar. “Vi è arrivata la cassa integrazione?” chiede una commessa mentre riprende la vendita in negozio.
Cosa potevo aspettarmi?
Una piccola realtà fa sempre più fatica a rialzarsi, paesini che vivono di turismo e mangiano grazie alla natura, intorno negozianti sempre più soli e saracinesche ancora abbassate. Protetti da quelle montagne ma in pugno alle burocrazie. Covid l’hai fatta davvero grossa.
La mia finestra non si affaccia più su un palazzo in ristrutturazione. Di fronte non ho più la mia vicina Marta che saluta i suoi parenti in Ungheria mentre prepara il pranzo per la sua signora. “Fate bene a studiare”, ripeteva a quei ragazzi di Via Pilo n.4.
Vi ho voluto dare una voce seppur nell’anonimato. Da qui riparte la seconda parte del mio diario di bordo.
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