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Fake news Hunter pubblica il report che analizza le strategie su Facebook e Telegram dei protagonisti della disinformazione
Che sia un periodo difficile in casa Facebook lo abbiamo letto un po’ da tutte le parti: dopo il down di tutte le piattaforme social a guida Zuckerberg, la fuga di notizie ad opera della ex dipendente dell’azienda Frances Haugen ha gettato non poche ombre sul mondo del social blu. Su tutte, la denuncia che l’impegno di Facebook per moderare e impedire il dilagare delle fake news e della disinformazione sulle sue piattaforme non sia poi così virtuoso. Ancora, è delle scorse settimane la notizia – neanche troppo sorprendente – che Instagram sarebbe nocivo per un adolescente su tre.
Una questione profonda
C’è un filo rosso che collega tutti questi elementi di crisi di cui non si prevedono gli sviluppi: per alcuni osservatori statunitensi si starebbero creando condizioni simili al momento Big Tobacco, quando cioè le industrie di sigarette fecero i conti con le evidenze scientifiche sui danni mortali del fumo, e corsero ai ripari promuovendo studi che potessero sostenere il contrario, controbilanciando l’informazione con una disinformazione costruita ad hoc, il cui esito fu nessuna ripercussione sui profitti di tali aziende. Rimasero i fumatori, i guadagni, le industrie, mentre ci sono voluti decenni per maturare la consapevolezza sui reali pericoli delle sigarette sulla salute.
Esasperata nell’era Covid
La disinformazione dunque, è un tema che travalica i decenni. In casa Italia la pandemia sta dando sfogo a narrazioni deleterie e, non si esclude, pericolose, da quando i Governi che si sono susseguiti nella gestione dell’emergenza sanitaria hanno compiuto delle scelte stringenti, che sono costate fatica agli italiani, ma che stanno segnando anche l’uscita da questo limbo insostenibile in cui si è dentro da ormai due anni.
Lo scorso giugno è stato pubblicato il sesto rapporto di “Fake News Hunters”, un progetto implementato da DCN SEE Hub, Forum Apulum e Peace Journalism Lab, promosso dall’Università Aristotele di Salonicco in Grecia, per monitorare ed esaminare i temi di disinformazione più popolari e la loro evoluzione sui social. Lo studio mette a confronto gli scenari di disinformazione di diversi Paesi come Georgia, Grecia e Italia. Alla realizzazione del report – che ha analizzato i contenuti di alcuni canali social nel periodo dal 19 aprile al 30 maggio 2021 – hanno partecipato anche alcuni componenti della nostra redazione.
Lo scenario italiano
Il monitoraggio dei social media italiani ha mostrato un ambiente digitale in rivolta contro la dittatura che i “grandi poteri” hanno imposto al popolo italiano. Il governo, l’UE e altri “burattinai” sono accusati di censurare i media per ottenere il controllo sulla popolazione. Il filo conduttore tra gli influencer è il “richiamo alla rivoluzione”, ognuno spingendo retoriche in linea con il proprio pubblico di riferimento. Ogni elemento dei post, dalle immagini ai vocali, concorre a presentare una certa realtà. Sono predisposti per controllare la risposta cognitiva pubblica nello spazio digitale. I profili analizzati dimostrano di seguire un piano editoriale dettagliato, con contenuti sponsorizzati e commenti puntuali per creare camere di risonanza fuorvianti, attraverso cui la voce del leader viene presentata come in grado di sfidare il sistema. Spesso, tale strategia ha un costo e delle conseguenze: è il caso di ByoBlu, una popolare rete di giornalisti cittadini sedicenti, bandita da Facebook e YouTube dopo essersi spinta al limite delle regole dei social media. Tuttavia, i regolamenti di Telegram senza restrizioni e le reti consolidate offrono a progetti di questo tipo la possibilità di risorgere come voci libere “imbattute”. Grazie al crowdfunding, ByoBlu ha acquistato un canale TV digitale, per esempio.
La voce degli intellettuali
Dopo essere stato censurato dalla RAI, il filosofo Diego Fusaro ha sfruttato l’episodio per organizzare la propria retorica antisistema promossa da una delle pagine Facebook più attive nel panorama italiano.
Concentrandosi quasi unicamente sulla pandemia, sottolinea in modo costante la presenza di un “nuovo regime terapeutico”, parla di controllo della popolazione tramite le misure di restrizione e di una sottomissione delle persone che, in quanto asintomatiche, sono tacciate di pericolosità,. Basta fare un giro sulla pagina per riscontrare accuse ai virologi e ritratti del ceto medio come vittima particolare perché capace di arricchire alcune nicchie, cioè le banche. Da qui il rifiuto del sistema finanziario dell’UE, il reclamo per una maggiore indipendenza per l’Italia e le responsabilità dei politici. I numeri dell’engagement sono disarmanti, soprattutto perché moltissimi condividono e quindi innescano la viralità dei contenuti. L’utilizzo di screenshot raffiguranti il titolo di articoli pubblicati sui principali quotidiani (Corriere Della Sera, Il Sole 24 ore, Business Insider Italia) è frequente, quasi a volerne sfruttare l’autorevolezza, salvo poi capovolgere il senso della notizia.
Salvini e la polarizzazione
Matteo Salvini, leader della Lega, ha uno dei profili Facebook più attivi in Italia. Con quasi cinque milioni di follower, è un utente che condivide tra gli otto e i dodici post al giorno. È il politico più importante che investe in Facebook fino a 230.000 euro all’anno.
Il piano editoriale della pagina si presenta piuttosto dettagliato: la strategia è quella di sfruttare ogni commento pubblicato che sostiene Salvini, trasformandolo poi in un nuovo post. Ha fatto discutere il concorso “Vinci Salvini”, l’iniziativa attraverso cui si offre la possibilità di incontrare di persona il leader ai fan più attivi sul profilo. Lo stile di esposizione è semplicistico, con l’obiettivo di ottenere la massima interazione aggirando la resilienza cognitiva pubblica. Sembra così che la demistificazione e la distorsione della realtà confluiscano in una condizione di “post-verità” all’interno della quale il suo pubblico si sente difeso e compreso. Assorbendo le notizie senza elaborarle, la narrazione individua l’antagonista nella nazionalità di un soggetto per esempio, piuttosto che nel soggetto stesso della storia. Questo porta i seguaci ad una netta polarizzazione, proiettandoli verso un sentimento sempre più estremista e radicalizzato.
Telegram, deliberata bugia
Telegram è diventato il luogo dove parlare “liberamente” e in sicurezza. Quasi tutti gli influencer hanno un profilo Facebook che promuove la disinformazione, ma è su Telegram che le persone si connettono tra loro condividendo falsità e illazioni, meme e opinioni. I canali di Telegram sono diventati così, la fucina della disinformazione in Italia. Di recente, è finito al centro del dibattito il dilagare di gruppi No-Vax che utilizzano il social di messaggistica istantanea per implementare la propria bolla e talvolta, tentano di valicare il virtuale, traducendo il pubblico arrabbiato in folla che protesta. Complessivamente, gli abbonati Telegram degli influencer sono circa 15-20mila, parliamo di persone disposte a finanziare la sussistenza di tali canali. Alcune pagine di disinformazione generale, soprattutto quella interconnessa con i canali di altri paesi, sono addirittura due volte più grandi. È il caso di THE STORM-Q17 che ha diffuso falsi internazionali tradotti in italiano.
Il linguaggio, così come i contenuti condivisi, sono generalmente radicali. Su Telegram i canali possono vietare i profili non allineati e costruire un senso di appartenenza al gruppo grazie a politiche di gestione leggere da parte della piattaforma.
Sofia D’Arrigo
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